AGI - Non è un saggio gastronomico sulla cucina dell’Antichità, piuttosto, un itinerario nella mitologia legato al gusto e alla cucina. A cimentarsi per Rizzoli (in libreria dall’11 giugno) sulla questione in “Atlante goloso del mito. Il cibo degli antichi. Storie, ingredienti e nuove ricette” è Marilù Oliva, scrittrice, saggista e docente di lettere che prima di approdare all’ambito mitologico, ha scritto romanzi thriller e noir. Tra i suoi bestseller c’è L’Odissea raccontata da Penelope, Circe, Calipso e le altre (2020), Biancaneve nel Novecento (2021) e L’Eneide di Didone (2022), il suo ultimo libro è L’Iliade cantata dalle dee (Solferino, 2024).
Come è nata l’idea di questo 'Atlante goloso del mito'?
Da due passioni: quella per la mitologia e quella per la cucina. Mi occupo di mito dal 2020, quando uscì “L’Odissea raccontata da Penelope, Circe, Calipso e le altre”, in realtà studio da sempre la mitologia greca e romana e propongo a scuola i poemi omerici. Sono anche appassionata di cucina, mi diletto tra i fornelli fin da quando ero ragazza e col tempo, essendomi trovata spesso nella condizione di cucinare per gli altri, ho imparato a unire il lato ludico e creativo di quest’attività con quello più pratico (dosi, tempi eccetera). Ho sondato il rigore delle ricette, ma ho scoperto il piacere della trasgressione, ho curiosato tra i manuali del passato e ho coltivato quest’interesse condividendone i risultati con le persone che amo.
Che tipo di ricerche hai fatto per scriverlo? E quanto tempo ci hai messo?
Ho studiato sia sui saggi storico-gastronomici attuali sia sulle poche fonti disponibili dell’epoca o nei rarissimi ricettari, come quello di Apicio: ogni riferimento è nella bibliografia finale. Per me è sempre difficile calcolare con precisione il tempo di realizzazione di un libro, perché si divide in quattro momenti: l’ideazione (e il tempo che vi dedico non riesco a quantificarlo, perché l’immaginazione lo sottrae e singhiozzi alla vita quotidiana), lo studio sulle fonti, la scrittura vera e propria e la revisione. Posso dirti che a scrivere il libro ho impiegato sui sei mesi, ma poi mancano le restanti tre parti!
Cosa esce fuori? E quanto gli antichi erano condizionati dal cibo rispetto all’uomo moderno?
Questo libro è un excursus attraverso le abitudini alimentari degli antichi e le loro credenze,
soprattutto in rapporto al mito. Corredato da un ricco ed elegante apparato iconografico che completa le parti scritte. Gli antichi avevano un culto della gastronomia molto diverso dal nostro: se noi cerchiamo modalità sempre più raffinate per cucinare e impiattare come stilisti, rispondendo a un elegante gusto estetico, nella Roma repubblicana, ad esempio, si perseguiva la frugalità. Questo almeno nelle classi sociali più basse, perché in quelle alte abbiamo esempi di cene luculliane, al limite dell’iperbole (la celeberrima Cena di Trimalcione, ad esempio). Per la maggior parte della popolazione dell’epoca, ovvero per il popolo, mangiare non era, come per noi, una stimolazione dei sensi, ma una mera questione di sopravvivenza. Ricordiamo che in passato i ceti più umili vivevano di un’alimentazione sobria, spesso ripetitiva e nemmeno garantita, per colpa delle frequenti carestie ed epidemie.
Il mito meno conosciuto legato al cibo?
Forse non tutti sanno che il vigoroso Eracle era ghiotto di legumi. O che alcune vivande avevano connotazioni ctonie potentissime, erano cioè viatico per il mondo dei morti. Erodoto ci racconta poi di popoli che si nutrivano di locuste, inoltre le fragole erano collegate al culto del bellissimo (ma sfortunato) Adone. E molte altre curiosità che si scopriranno leggendo…
Cosa resta della concezione antica di cibo e mito ai giorni nostri? (se resta qualcosa?)
Credo che ci sia un collegamento tra le nostre abitudini alimentari generalmente sane, varie, colorate e la nostra geografia, ma anche la nostra storia. Arriviamo da là, da quella cultura, e alcuni piatti lo testimoniano egregiamente. Già allora in Italia esistevano delle rudimentali lasagne, per esempio, oppure i legumi venivano cucinati in modi molto simili a come ancora oggi si servono in alcune realtà del sud Italia. A Torre Annunziata, nella Villa di Poppea, è stato rinvenuto l’affresco di una meravigliosa cassata siciliana che sembra appena stata confezionata dalle mani di un abile maître pasticcere contemporaneo, per esempio.
Come ha strutturato il libro e a chi ne consiglia la lettura?
Il libro è diviso per gruppi alimentari, partendo dai cereali. Alla fine di ogni capitolo, Rizzoli mi ha permesso di divertirmi in un menù degustazione, dove – rispettando le abitudini degli antichi – propongo dei piatti in parte da me inventati. Mi sono divertita moltissimo a provarli! Il tutto si conclude con un capitolo in cui parlo di fiori, funghi e altre curiosità.
Quale è la più semplice da replicare? E quale la più lontana dal nostro gusto?
Le ricette non sono di difficile realizzazione, forse alcuni dolci sono un po’ più impegnativi, ma dipende dai capitoli. Troverete sperimentazioni, contaminazioni, associazioni inedite (ad esempio, le crêpes alle lenticchie). Si tratta di proposte fantasiose, ad effetto (gli gnocchi rosa alla barbabietola, ad esempio), ma fruibili per tutti, poiché si basano su ingredienti reperibili senza problemi, possibilmente freschi e a meno impatto ambientale possibile. Tra l’altro propongo menù per tutti i gusti: poca carne, molte verdure, cereali, alimenti sani ma che soddisfino e sorprendano non solo il palato, ma anche l’olfatto e la vista. Per riappropriarci di quel rapporto sacro – molto diverso da quello bulimico, talvolta nevrotico, troppo veloce e consumistico dei nostri giorni – che gli antichi attribuivano a quei momenti preziosi dedicati a nutrirsi.