AGI - Una tragedia misconosciuta che ha segnato l’andamento della Seconda Guerra Mondiale. Uno dei primi grandi enigmi irrisolti della storia del nostro Paese. Il giornalista e scrittore Marco Liguori ha tolto con un libro inchiesta la polvere del tempo dal mistero che da otto decenni circonda la sorte di una grande nave mercantile utilizzata della Regia Marina per i rifornimenti in Africa, esplosa all’improvviso nel Porto di Napoli nel marzo 1943. ‘Caterina Costa, la nave dei misteri’ (De Ferrari Editore) è la ricostruzione di una strage rimasta senza colpevoli di cui l’AGI ha parlato con il suo autore.
Sintetizziamo la vicenda su cui è incentrato il suo libro, tra l’altro vincitore del Premio Acqui Edito e Inedito per la sezione Saggio Storico.
Scafo in acciaio, 135,50 metri di lunghezza, 8.060 tonnellate di stazza lorda, il mercantile Caterina Costa fu requisito dalla Regia Marina pochi mesi dopo il suo varo e destinato a fare la spola tra Napoli e Biserta per rifornire le truppe dell’Asse. Alle 14.15 di domenica 28 marzo 1943, mentre era all’attracco nel Porto di Napoli, un’improvvisa fiammata si levò dalla stiva di poppa n. 6, dove erano stati alloggiati i carburanti separandoli dalle munizioni stipate a prua solo con il cosiddetto carico inerte delle vettovaglie. Le successive tre ore segnarono il destino dell’imbarcazione e di tanti innocenti: i pompieri giunsero sul posto, ma non ricevendo l’ordine di salire a bordo dalla Capitaneria si limitarono a bagnare lo scafo da alcune motobarche senza poter davvero aiutare a fermare l’incendio i marinai, finché alle 17.30, dopo essere passato da un barile di carburante all’altro, il fuoco raggiunse le munizioni facendo esplodere la Caterina Costa.
Sotto un enorme fungo nero, una pioggia di metallo figlia della disgregazione della nave e del suo carico ricadde sulla città fino alla collina dei Camaldoli, a chilometri di distanza, provocando almeno 600 vittime e migliaia di feriti. Le censura di guerra impedì che l’episodio arrivasse sui giornali fino al 1° aprile, ma si trattò di una strage dovuta a una catena di errori e negligenze. E ad atti di eroismo – come quello dell’Ammiraglio Lorenzo Gasparri, che pur non avendo responsabilità nella gestione del porto corse al molo cercando di coordinare i soccorsi, restò ucciso dall’esplosione e in seguito ebbe la medaglia d’oro al valor militare alla memoria - corrisposero pesanti responsabilità. La Caterina Costa era stata ormeggiata nella darsena del Porto di Napoli, dall’imbocco notoriamente molto stretto, con la prua rivolta verso terra; cosa che rendeva impossibile una sua veloce uscita in mare in caso di emergenze. In più, come ho evinto da documenti rintracciati all’Ufficio Storico della Marina Militare, aveva già subito un principio di incendio alla stiva 6 nell’ultima missione bellica, probabilmente a causa di un tubolare di vapore difettoso.
Davanti alla Commissione della Regia Marina qualcuno parlò di attentato ed altri di imprudenze, mentre gli alleati tedeschi liquidarono il caso sostenendo che “gli italiani si erano fumati una sigaretta”. Di certo, si trattò di un evento di eccezionale gravità per Napoli
e tutto il Paese, perché tra le vittime furono rinvenuti cittadini italiani provenienti da altre regioni che il destino aveva condotto quel giorno nel capoluogo campano.
Perché dedicare un libro inchiesta a un episodio avvenuto otto decenni fa?
Innanzi tutto per fare chiarezza su una vicenda dimenticata, ma fondamentale nell’andamento del conflitto avendo danneggiato il principale porto di rifornimento per il Nord Africa dell’Asse. Poi per fare giustizia, dato che complice il caos del momento storico al tempo non fu istituito alcun processo da parte della Procura Militare e gli unici provvedimenti presi furono l’allontanamento dell’Alto Commissario del Porto di Napoli Mario Falangola - che trovandosi quel giorno per servizio a Roma non aveva nominato un vice a Napoli – e del Comandante del Compartimento del Basso Tirreno Ammiraglio Pini. E infine perché l’esplosione della Caterina Costa ha rischiato di far sì che io stesso non venissi al mondo. I miei nonni e mia madre, allora bambina, abitavano infatti ad appena un chilometro e mezzo dal punto di attracco della nave e l’onda d’urto travolse la loro abitazione costringendoli a lasciarla per mesi. Furono il caso e la prudenza di mio nonno, che vedendo il fumo dell’incendio mise tutti al riparo, a salvare la vita di chi anni dopo mi avrebbe generato.
L’episodio della Caterina Costa è da inserire nel novero dei grandi misteri italiani?
Sicuramente va considerato tra i principali e più tragici del secondo conflitto mondiale. L’altissimo numero di vittime innocenti, uccise, potrebbe dirsi, da fuoco amico, lo ammanta di un’aura di profonda ingiustizia. Per questo nel mio libro ho cercato di fornire un elenco di nominativi di chi scomparve quel giorno il quanto più possibile completo, cercando riscontri negli archivi dell’epoca.
Può dirsi che quella strage senza colpevoli sia annoverabile tra le motivazioni delle Quattro Giornate di Napoli, che ebbero luogo dopo solo qualche mese?
Senz’altro; il dramma della Caterina Costa ha segnato la definitiva rottura del rapporto tra il governo fascista e la cittadinanza di Napoli. Si è intimamente detto basta una volta per tutte ad una guerra che i napoletani non avevano mai sentita propria e li aveva costretti a considerare nemici popoli con cui erano sempre andati d’accordo. I bombardamenti e l’arrivo dei tedeschi hanno di lì a pochi mesi condotto al culmine questo sentimento, facendo sì che con le Quattro Giornate la popolazione napoletana sia stata la prima in Europa a liberarsi dai nazisti.