AGI - I nostri ricordi d’infanzia non sono altro che un’enorme operazione commerciale. È questo il senso spiazzante del saggio a fumetti “L’effetto He-Man – come i produttori americani di giocattoli ti vendono i ricordi della tua infanzia” di Brian “Box” Brown, uscito in Italia per Bao Publishing.
L’autore illustra in queste pagine come la più grande ricchezza dell’umanità sia la nostra immaginazione e che essa se “indirizzata” può spostare abitudini, voti, commerci. A partire da Giulio Cesare, che secondo Brown, ha costruito uno dei primi esempi di propaganda militare capace di galvanizzare anche le classi più povere dell’impero, fino ad arrivare ad un’azione mirata per rendere accettabile che anche le donne fumassero. Tra i maestri di questa teoria, Edward Bernays, nipote di Sigmund Freud, ebbe l’idea che tra i compiti delle pubbliche relazioni ci sia anche quella di individuare e sfruttare le motivazioni inconsce e irrazionali dei comportamenti umani per impedire alla società di trasformarsi in una massa incontrollabile.
Nel 1928 pubblicò un saggio “L’ingegneria del consenso” e operò soprattutto nel campo delle relazioni industriali. Oggi se è comunemente accettato che le donne tengano tra le dita una sigaretta lo si deve soprattutto a lui. Nel 1929, per contrastare i continui attacchi alle aziende del tabacco, organizzò una parata a New York, La Fiaccolata della Libertà, durante la quale fece sfilare un gruppo di donne di bell’aspetto che fumavano. Le foto fecero il giro del paese, suscitarono certo polemiche, ma allo stesso modo resero la sigaretta simbolo di libertà, ribellione ed emancipazione, sdoganando un comportamento tra il pubblico femminile prima tabù. Per rendersi conto della potenza che quella sigaretta ha avuto nell’immaginario collettivo, ancora oggi, nel 2016 le donne siriane di Manjiab, una delle città liberate dall’Isis, furono immortalate mentre alzandosi il velo fumavano una sigaretta.
E se vale per le sigarette, vale anche per i cartoni animati. L’industria della fantasia, fiutato l’affare, ha sempre più cercato di associare i cartoon al merchandisig. A favorire l’escalation è stato l’avvento e il progresso della tv americana (unico mercato preso in considerazione nel libro), diventata la baby sitter di milioni di bambini, che fino agli anni ‘80 ha beneficiato di leggi più permissive di quelle oggi in vigore, esponendo i ragazzi a veri e propri messaggi commerciali, in una guerra tra major dei cartoon e dei giocattoli che non ha risparmiato colpi.
Così, partendo dalla sua passione per i giocattoli dell’infanzia, Brown racconta come la deregulation dell’amministrazione Reagan negli anni Ottanta abbia permesso alle case produttrici di giocattoli di creare fumetti e cartoni animati dedicati alle loro linee di giocattoli, creando ricordi e affezione per personaggi cui dedichiamo parte del nostro potere d’acquisto ancora oggi. He-Man, i Transformers, G.I. Joe, Hulk, I transformer, le Tartarughe Ninja sono personaggi le cui avventure sono state concepite allo scopo principale di vendere giocattoli. I cartoni animati non erano altro che lunghi spot pubblicitari.
Tra i casi più eclatanti citati nel saggio c’è quello di Star Wars, considerato un vero e proprio spartiacque nel mondo dei giocattoli e del mercato che finora gli aveva girato attorno. Il regista George Lucas stava puntando tutto sugli effetti speciali e spiazzò i suoi produttori, chiedendo un cachet più basso, ma una percentuale sui “diritti derivati”. Il regista assumendosi il rischio di un flop, aveva comunque intuito come stava girando il mondo dell’immaginazione e del movimento che poteva nascere dopo la proiezione nelle sale cinematografiche.
In una delle nuvole è lo stesso Lucas a spiegare il motivo di quella scelta “volevo che il film fosse mio, ma volevo anche la libertà di stampare poster e magliette, materiali promozionali nel caso in cui lo studio non avesse creduto nel film”. Inizialmente nessuno credette nella visione di Lucas, ma presto le aziende dovettero ricredersi. Il film fu un successo straordinario, i cinema furono presi d’assalto e la Kenner iniziò la produzione dei personaggi della saga, dei gadget, delle magliette. In un anno, nel 1978, le vendite avevano oltrepassato i 200 milioni di dollari, per poi raddoppiare in 3 anni. La produzione americana di pupazzi non bastava a soddisfare la domanda, tanto che l’azienda decise di spostare tutto prima a Hong Kong e poi nella Cina continentale.
Grazie al business dell’immaginazione si è avuto il primo esperimento di mercato globalizzato. Pensato in America, prodotto in Cina a costi minori.
Per capire quanto Star Wars abbia plasmato i ricordi di quei ragazzi di allora, basta osservare quello che è accaduto nel 1997, quando nelle sale è tornata una riedizione del film di Lucas (e il relativo merchandising). Ci fu lo stesso effetto, ora in coda c’erano i ragazzi di ieri che accompagnavano una nuova generazione di spettatori, i loro figli. Il film è servito a ricucire due generazioni, a unirli con il potere della fantasia, proprio come accade con i film Disney.
Con lo stesso scopo proprio, nel 2013, uscì con un film dal titolo “Saving Mr. Banks” che raccontava al pubblico come Disney ottenne i diritti di Mary Poppins. Stava raccontando al pubblico di bambini che aveva amato la Tata volante come quella storia era arrivata sugli schermi, suscitando ancora nuove emozioni legate a quel personaggio, riconnettendo un pubblico oramai cresciuto alle sensazioni di quella fiaba, ma con una narrazione più adulta.
Per questo quello proposto da Brown è un saggio illuminante, a tratti doloroso perché svela come il marketing abbia usato la fantasia di miliardi di bambini a mero scopo commerciale. Tuttavia c’è quella parte di noi, dei bambini che siamo stati che non metterà mai in discussione i poteri dei nostri super-eroi.