AGI - Marzo 1942. La Francia è spaccata a metà da due anni: il nord e Parigi sono occupati direttamente dalla Germania nazista; nel centro-sud è stato instaurato il regime di Vichy, libero solo sulla carta.
L’ex segretario del Psi, Pietro Nenni, si è rifugiato in un piccolo paese sui Pirenei francesi, sperando di non essere notato. Anche se si trova in una zona della Francia "libera", infatti, la collaborazione di alcuni elementi del governo di Vichy con il regime nazista è forte. Il suo nome, inoltre, figura in un elenco di elementi antifascisti di cui Mussolini ha chiesto l'estradizione in Italia.
In quei giorni viene redatta una nota interessante, che contribuisce a salvare Nenni dall'arresto. A scriverla è Angelo Tasca: storico e giornalista di spessore, ma anche un ex comunista, che, iscrittosi al Psi a metà degli anni ’30, era diventato il principale avversario politico di Nenni.
Dopo il crollo della Francia, Tasca aveva deciso di sostenere le autorità di Vichy e questo gli consentiva di intervenire in favore di ex compagni in difficoltà. Il documento, trovato nel Fondo Angelo Tasca conservato alla Fondazione Feltrinelli, è un tentativo di mettere in buona luce Nenni: mette in rilievo, infatti, i particolari che possono “ammorbidire” la posizione delle autorità di Vichy verso il leader socialista.
Quello dell'aiuto di Tasca a Nenni è un piccolo "giallo" storico. Dopo la fine della guerra, la voce era circolata. Il leader socialista non ci ha mai creduto e ha sempre ritenuto Tasca un personaggio ambiguo.
È certo, però, che l’ex comunista si impegnò per tentare di aiutare alcuni ex compagni di lotta, come ad esempio Giuseppe Faravelli, Giovanni Faraboli e Mario Levi. Questi, liberati dal campo di concentramento del Vernet, gli mandarono un telegramma di ringraziamento il 3 aprile 1942.
L'appunto ritrovato
Nonostante la diffidenza mostrata da Nenni, Tasca si mosse davvero a suo favore. Nel suo libro "In Francia nella bufera", l'ex comunista ricorda che nella richiesta di estradizione avanzata da Roma, "Nenni era accusato di tramare non so che cosa coi comunisti".
Così, su consiglio di un funzionario di Vichy, decide di stilare la nota in favore del suo ex avversario politico. Il testo del documento, redatto in francese, recita: “27/3/1942. Pietro Nenni non è mai stato e non è comunista. È un giornalista, che è stato amico di Mussolini.
Nel 1914-1915 guidò, al suo fianco, la campagna a favore dell’intervento dell’Italia in guerra contro gli Imperi Centrali. In Italia fu il direttore del grande quotidiano socialista l’Avanti, che si pubblicava a Milano. Molto conosciuto nell’ambiente giornalistico di Parigi e di Bruxelles, dove è stato corrispondente di diversi giornali.
Lui è stato il segretario del Partito Socialista Italiano. Ha tre figlie (quattro in realtà, ndr), di cui due sono diventate francesi per il loro matrimonio con dei francesi. Egli è anche molto conosciuto negli Stati Uniti, dove si è rifiutato di recarsi nel giugno 1940, malgrado l’invito che egli aveva ricevuto”.
Vengono messi in evidenza dettagli favorevoli al leader socialista: il fatto che non sia mai stato comunista; la sua vecchia amicizia con Mussolini; che sia molto conosciuto nell’ambiente giornalistico; che abbia rifiutato di fuggire negli Stati Uniti.
Toni molto diversi da quelli che Tasca aveva usato contro Nenni nel pieno del loro scontro politico e che testimoniano come, al di là di conflitti e anche di rancori personali, la solidarietà tra gli esuli spesso era più forte di tutto il resto.
Comunque, oltre all'intervento di Tasca, Nenni aveva altre carte da giocare: non gli mancavano conoscenze, tra cui quella di Pierre Laval, un ex socialista divenuto uno dei capi più influenti del regime di Vichy.
Nenni evitò l'arresto per oltre un anno, fino a quando la relativa autonomia della Francia di Vichy dai nazisti si ridusse ulteriormente e quando le pressioni del governo fascista per la sua cattura divennero insostenibili. Arrestato dalla Gestapo, arriva in Italia il 5 aprile 1943 e viene mandato al confino a Ponza.
Si chiederà per tutta la vita se il suo "amico-nemico" Mussolini fosse intervenuto per toglierlo dalle mani dei nazisti e per spedirlo su un'isola italiana, dove di fatto viene messo agli "arresti domiciliari" ma non rischia la vita. Non troverà mai una risposta certa. Secondo il direttore scientifico della Fondazione Pietro Nenni, Antonio Tedesco, "è plausibile, invece, che il regime non volesse lasciare nelle mani tedesche i “fuoriusciti” italiani di spicco come Nenni.
Mussolini considerava i leader dei partiti antifascisti i peggiori traditori e nemici del regime e riteneva fondamentale “neutralizzarli”, per poi giudicarli dopo la fine della guerra. Era – come sottolineato dallo storico Gaetano Arfè – anche un fatto di orgoglio nazionale: visto che erano italiani, rivendicava al fascismo il compito di punirli”.