V iviamo in un’epoca di paradossi. L’uomo si lamenta di non avere tempo, quando proprio il tempo è l’unica cosa di cui dispone un essere vivente. In realtà si lamenta di non avere abbastanza tempo “di qualità”, come ha spiegato nel saggio di cronosofia ‘Avere tempo’ Pascal Chabot (Ed.Treccani). Ma questo tempo richiede da parte delle persone una giusta attenzione per poter essere definito, appunto, di qualità. E così arriva il secondo paradosso: il sistematico calo della concentrazione, fenomeno che si è accentuato nelle ultime decadi e che ci ha portato a sviluppare una sorta di “cultura patogena dell’attenzione”.
Un dato appare significativo: diversi studi hanno evidenziato che gli adolescenti del XXI secolo riescono a concentrarsi su un’attività in media per soli 19 secondi alla volta e gli impiegati solo tre minuti. La domanda dunque è la seguente, come possiamo recuperare la giusta concentrazione che ci permetta di vivere quel tempo di qualità di cui abbiamo assolutamente bisogno? E’ questo il tema affrontato da Johann Hari in ‘L’attenzione rubata – Perché facciamo fatica a concentrarci’ in arrivo in libreria con La nave di Teseo (collana i Fari, pagg. 515; euro 24,00) in cui lo scrittore, giornalista e saggista britannico compone una sorta di guida per tornare a guardare con attenzione alla nostra vita, ai nostri amici, a noi stessi, prima che sia troppo tardi. E lo fa da instancabile investigatore, raccontando queste sue scoperte con il ritmo, la brillantezza e l’energia del miglior genere di thriller.
Hari è rimasto disorientato dalla facilità con cui perdiamo la concentrazione ogni volta che passiamo da un dispositivo elettronico all’altro per lavorare, per comunicare e per vivere il nostro tempo libero. Ha provato di tutto, anche a eliminare il cellulare dalla sua vita per più di tre mesi, ma non ha funzionato. Per cercare di risolvere il problema, ma soprattutto per comprenderne le origini, ha quindi intrapreso un viaggio per intervistare i maggiori esperti mondiali di scienze cognitive specializzati nel campo dell’attenzione umana, scoprendo che tutto quello che pensiamo di sapere sul tema è sbagliato.
Da Mosca a Miami, da Montreal a Melbourne, dagli ingegneri della Silicon Valley in grado di catturare e non lasciar andare il focus degli utenti fino ai cali di attenzione, apparentemente inspiegabili, nelle favelas di Rio de Janeiro, Hari ha intervistato oltre 250 esperti giungendo alla conclusione “che abbiamo clamorosamente frainteso quello che sta accadendo alla nostra attenzione”. Lo scrittore di Glasgow, infatti, spiega che non siamo noi a essere diventati pigri, indisciplinati, ma è la società, il mondo in cui viviamo a essere cambiato profondamente.
E per spiegarlo si affida alle parole di Joel Nigg, uno dei maggiori esperti al mondo dei problemi dell’attenzione nei bambini: viviamo in un ambiente in cui “una profonda e prolungata attenzione è difficile da sostenere per tutti noi che siamo costretti a nuotare controcorrente per conquistarla”. Quindi aggiunge che “la nostra società spinge le persone fino a questo punto così spesso perché è in corso un’epidemia causata da elementi specifici della nostra società stessa che sono disfunzionali”.
In ‘L’attenzione rubata’ Johann Hari raccoglie “prove concrete” del fatto che il crollo della capacità di concentrazione non è un fallimento personale, ma “è causato da forze potenti. Queste forze includono Big Tech”, spiega, quindi i telefonini, i tablet, i social network, “ma vanno anche oltre: è un problema strutturale”. Nel suo libro, quindi, Hari si prefigge lo scopo di parlare delle reali cause della nostra crisi dell’attenzione e di individuare i reali problemi strutturali che richiedono soluzioni strutturali.
“Ci sono tre motivi fondamentali per intraprendere questo viaggio con me – scrive Hari nell’introduzione – il primo è che una vita piena di distrazioni è, a livello individuale, limitata”. Bisogna quindi eliminare per prima cosa le distrazioni che sono come il fango sul parabrezza: se siete alla guida di un’auto e qualcuno getta del fango sul parabrezza - spiega - prima di pensare che arriveremo in ritardo al nostro appuntamento o che potremmo urtare con lo specchietto o ancora che ci potremmo perdere, bisognerà levare il fango (le distrazioni) dal parabrezza.
“La seconda ragione per cui dobbiamo riflettere su questo argomento – spiega ancora – è che il frammentarsi dell’attenzione non sta causando problemi solo a noi come individui, sta generando crisi nell’intera società”. E parla dei cambiamenti climatici o delle democrazie in pericolo: “Risolvere grandi problemi richiede la costante attenzione di molte persone per molti anni”, scrive l’autore. Che aggiunge: “Non credo sia una coincidenza che questa crisi dell’attenzione abbia avuto luogo contemporaneamente alla peggiore crisi della democrazia dagli anni Trenta. Le persone che non riescono a concentrarsi saranno maggiormente inclini a soluzioni autoritarie semplicistiche e sempre meno capaci di capire quando esse falliscono”.
Il terzo motivo elencato infine da Hari è quello che definisce “il più incoraggiante”: se comprendiamo quello che ci sta accadendo, possiamo cominciare a cambiare la situazione. Ricominciare a pensare profondamente, dunque, abbandonare le distrazioni e la superficialità per ritrovare la caratteristica propria dell'uomo, per ricominciare a vivere quel tempo di qualità che è l'unica cosa che dà un senso vero alla nostra esistenza.