AGI - Sicilia, anni 70. Un giovane va a Licata dove sin da piccolo trascorre le vacanze nella cittadina di mare dove vivono gli zii. Bei ricordi, belle giornate passate insieme alle cugine e agli amici. Solo che stavolta è diverso, accade qualcosa che segna un punto di svolta nella sua vita e che lo fa riflettere su tutto quello che ha detto, fatto e costruito fino a quel momento.
La politica, le manifestazioni antifasciste, il rancore, il distacco verso la famiglia borghese degli zii, pensieri e inquietudini personali. Proprio quell'estate, il giovane si infila per caso in un'indagine su un omicidio, e finisce in una storia intricata fatta di sotterfugi familiari, mafie, con il sogno di un amore. Fin qui, per non svelare troppo, la trama di "L'ultima ombra d'estate" (edizioni Piemme), primo romanzo giallo di Mario Mattia, geofisico dell'Ingv, (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) nato a Caserta ma da sempre residente a Catania, dove lavora presso l'Osservatorio Etneo occupandosi di monitoraggio geodetico dei vulcani e delle aree sismotettoniche della Sicilia. Dalla penna di questo geofisico, esce un giallo appassionante che fra mare, sole che scotta, rocce, monti, qualche frase in dialetto che umanizza ancora di più i protagonisti, guida il lettore attraverso una storia ambientata nella regione più eclettica d'Italia.
"L'idea del romanzo - spiega all'AGI Mario Mattia - è nata da un casuale ritorno a Licata dopo trent'anni di assenza. Questo fatto, abbastanza insignificante, ha aperto una porta chiusa da molto tempo dietro la quale c'erano ricordi, sensazioni ed emozioni vissute in quelle estati di tanti anni fa, passate sulle spiagge licatesi. Il fatto di essere un geofisico mi ha aiutato molto, in primo luogo perché il mestiere di ricercatore prevede una buona dose di creatività e poi perché il mio è un lavoro che ti porta a girare e a conoscere nel dettaglio il territorio. E conoscere il territorio non significa solo studiare la geologia o le faglie perché, per forza di cose, entri in contatto con le persone che lo abitano e con le loro storie. Da qui, la scintilla di cominciare a mettere su carta queste storie attraverso la narrazione".
Marco il protagonista, Sandra, Laura Torrisi la PM, Tiziana e suo padre: sono personaggi reali? Quanto c'e' di autobiografico? "Per onestà - risponde lo scrittore - devo rispondere di sì, ma nel senso che i caratteri e magari anche gli aspetti fisici dei personaggi del mio romanzo sono legati a persone che ho conosciuto o incontrato. Non si tratta di veri e propri ritratti, direi più che a loro mi sono ispirato e li ho fatti recitare sul palcoscenico della Sicilia degli anni '70. Marco è stato il più immediato e il più semplice da 'inventare'. Ragazzi come lui ne ho incontrati tanti nelle manifestazioni e nelle assemblee politiche. Seri, poco socievoli, pronti a esplodere quando si trattava di difendere diritti violati. Molti "Marco" li vedo ancora, perfetti membri di quella borghesia che tanti anni fa contestavano. Altri, pochissimi, hanno invece fatto scelte più coerenti e tragiche per sé stessi e per gli altri, esattamente come il Marco del mio libro. L'altro personaggio con cui mi è piaciuto giocare un po' è la PM Torrisi, una donna forte e un magistrato rigoroso, ma con una enorme carica di umanità. Non so se esiste davvero un pubblico ministero come lei, ma da cittadino me lo auguro".
La passione per i gialli e l'ispirazione: "Nel romanzo ci sono ampie citazioni di 'A ciascuno il suo' di Leonardo Sciascia - spiega Mattia - la sua visione razionale e spietata della realtà siciliana è stata un insegnamento fondamentale, per me. In generale, sono molto legato a scrittori siciliani come Bufalino, Brancati e Patti". Il libro si legge tutto d'un fiato, scorre bene e intriga: è stato definito un romanzo di formazione. Dall'impeto giovanile in cui tutto appare facile e conquistabile, alla scelta più matura di cercare un punto di equilibrio.
Anche per l'autore, nato a Caserta ma da sempre in Sicilia, è cambiato nel tempo qualcosa? "Non mi piace fare i discorsi del 'buon tempo antico'. La Sicilia - sottolinea lo scrittore - è cambiata moltissimo ed ho già detto dello scempio del territorio, ma ricordo perfettamente la miseria e il degrado di certe zone della Sicilia. Li ho visti, tanti anni fa, i bambini scalzi e con gli occhi malati di tracoma. Oggi, per fortuna, queste cose non ci sono più. Riguardo il romanzo, ho cercato di descrivere, al meglio delle mie possibilità, delle immagini, delle sensazioni. Se in qualche modo ci sono riuscito, ne sono felice. Alla fine, anzi, è l'unica cosa che conta e che ripaga del lavoro fatto in tante notti, chino sulla tastiera del PC...".
L'ombra della mafia, il tentativo di resistere alle sirene dell'illegalità, la resa, ma anche l'amore come boccata di ossigeno, c'e' speranza? "Per rispondere a questa domanda cito un celebre libro di Hannah Arendt. Nel mio romanzo ho cercato di descrivere 'la banalità del male' - risponde Mario Mattia - nel senso che molto spesso dietro il 'sacco' urbanistico che ha sfigurato la Sicilia negli ultimi 50 anni non bisogna cercare solo gli interessi mafiosi, ma anche la rapace avidità della borghesia siciliana, quella ricca e istruita, che trovava una giustificazione alla sua bramosia trincerandosi dietro la parola 'sviluppo'. Io comunque sono ottimista e penso che l'amore, inteso non solo come quello profondo e viscerale che lega i due personaggi del mio romanzo, ma anche quello per la propria terra e per la propria gente, sia il motore che porta ai grandi cambiamenti e l'unico fattore che può aiutare a mettere da parte l'abituale cinismo e la diffidenza atavica che troppo spesso finisce per paralizzare il cambiamento qui in Sicilia".
A proposito di politiche urbanistiche scriteriate, sembra che da parte dei giovani e della popolazione in generale, stia iniziando a manifestarsi un certo interesse verso temi come quello della tutela del paesaggio e dell'ambiente. "Credo sia evidente che il dolore per le mostruosità urbanistiche compiute in Sicilia dagli anni '60 dello scorso secolo in poi - aggiunge ancora lo scrittore - è stato la molla che mi ha spinto a sedermi dietro a un tavolo e a raccontare una storia. Non uso a caso la parola 'dolore', e non ne trovo una migliore per descrivere la sofferenza nell'osservare come un territorio meraviglioso sia stato massacrato senza creare quasi nulla di quello 'sviluppo' che prometteva. I ragazzi di oggi scappano dalla Sicilia, soprattutto quelli che hanno elevati livelli di formazione. Sono terrorizzati dall'idea di restare marginali rispetto ai grandi processi di globalizzazione e di essere condannati ad accontentarsi di un numero limitato di possibilità lavorative. Servirebbe una nuova stagione di idealità e prospettive per invertire il trend e mi auguro che a innescarlo siano proprio i ragazzi che in questi mesi, in questi anni, stanno partendo per il nord o per altre nazioni".
Oggi si parla di nuovo del Ponte sullo Stretto: "Da geofisico che tuttora sta lavorando nell'area dello Stretto di Messina - spiega Mattia - posso dire che abbiamo un background scientifico di ottimo livello, che ha chiarito molti degli aspetti geodinamici di un'area estremamente complessa, crocevia di diversi sistemi di faglie. Inoltre la zona è ben monitorata e nuovi progetti si stanno realizzando, che alzeranno il livello di conoscenza sulla pericolosità sismica della Sicilia Nordorientale e della Calabria meridionale. Se chiamata in causa, la comunità scientifica sarà quindi in grado di rispondere alle domande dei progettisti. Come siciliano - conclude l'esperto - drizzo le orecchie ogni volta che sento proclamare la parola 'sviluppo' e mi pongo in una posizione di attesa, curioso di scoprire se anche stavolta dietro questa parola c'è l'ennesimo 'nulla' o se invece ci sarà qualcosa di utile e di realmente produttivo".