AGI - C’è voluto un po’ di tempo prima che l’editoria tradizionale si accorgesse di una delle migliori gialliste italiane. Cinque anni per l’esattezza, da quando nel 2018 Cristina Stillitano, stanca di aspettare le risposte delle case editrici, ha deciso di fare da sé e di pubblicare su Amazon il primo episodio delle indagini del commissario Clodoveo.
Il riscontro di pubblico è stato immediato e al successo nell’ambito del self-publishing sono seguiti, con il terzo volume, il premio Amazon Storyteller e l’attenzione di Piemme che ha fatto uscire il 28 febbraio in cartaceo il quarto della serie: ‘La giostra del perdono’ (420 pagine, 13 euro).
Come tutti i romanzi su Clodoveo, anche questo ha un’ambientazione particolare: la Roma degli anni Cinquanta, quella che si lasciava alle spalle le macerie della guerra e muoveva i primi passi verso il boom economico. Ma l’anno e il mese in cui è ambientato ‘La giostra del perdono’ sono ancora più particolari: il febbraio del ’56 durante la famosa nevicata sula Capitale.
E la neve, con i suoi simbolismi, è il leit motiv di una storia che si dipana lungo il tema della redenzione. Semplificando si potrebbe dire che Roma è la protagonista assieme a Clodoveo, ma i romanzi di Stillitano sono qualcosa di ancora diverso: sono letteratura. Il giallo e l’indagine, per quanto costruiti con estrema maestria, cedono il passo nel cuore del lettore alla qualità della costruzione dei personaggi, della ricostruzione dell’ambientazione, ma soprattutto della lingua. Prendendo a modello Gadda, Stillitano dà alla propria scrittura tante sfumature quante sono le realtà che narra, facendole vivere al lettore non solo come intrattenimento, ma quasi come una esperienza che si può definire ‘immersiva’, mutuando un termine molto in voga in tutt’altro settore.
Il ritmo sempre sostenuto, l’ironia sottile che attraversa anche le pagine più crude, la vena malinconica del protagonista che non straborda mai nel pietismo, fanno di questo - come di tutti i romanzi dell’autrice - un viaggio non solo in una Roma che non deve restare confinata nei fotogrammi del neorealismo, ma nell’anima di personaggi ai quali ci affezioniamo come un tempo ci si affezionava a certi vicini di casa che finivano per essere poco meno che parenti.
Personaggi forti, complessi, difficili da decifrare. L’obiettivo dell’autrice è lasciar emergere, a poco a poco, lati profondi del carattere che, alla fine, riscattino o quanto meno diano un tocco di umanità anche ai portatori del male.
La Roma che scopriva il frigorifero, la tv, l’auto, la Lambretta - che poi è il mezzo di locomozione del protagonista – non è comunque solo un fondale su cui si dipana la storia. In questo episodio è una città bellissima e surreale, avvolta dall’incantesimo profondo e silenzioso della neve, che Stillitano ha ricostruito attraverso un minuzioso lavoro di documentazione, ma anche grazie ai ricordi che i lettori hanno voluto condividere con lei.
Il commissario Agostino Clodoveo è un burbero dal cuore tenero, un omaccione con la faccia sputata da sbirro le cui imperfezioni sono una ricchezza e che è va alla ricerca della verità in un’epoca in cui le indagini sono fatte di indizi, pedinamenti, interrogatori e informatori che barattano la clemenza della polizia con qualche soffiata.
E così Clodoveo sbaglia, si corregge, talvolta perde. Una sorta di ‘perdente seriale’ – come lo ha definito un lettore – con un’ostinazione che è pari solo al grado di umanità: per vedere il criminale devi saper comprendere prima l’uomo.
L’intreccio, come nei precedenti romanzi, è complesso, articolati su più livelli, con una successione serrata di eventi nel finale. Tutti i personaggi evolvono, non sono mai uguali a loro stessi. L’autrice ne fa emergere lati nuovi, inaspettati, persino incoerenti.
In questo quarto episodio, Clodoveo parte con uno stato d’animo diverso dai precedenti. Il passato è alle spalle, è un uomo un po' più sereno, in qualche modo rassegnato alla sua solitudine. Sarà chiamato a grandi scelte e grandi prove. Dovrà per forza cambiare. Tutti noi lo dobbiamo ogni giorno.