AGI - La stragrande maggioranza delle persone si riferisce a qualcosa di immorale o intrinsecamente sbagliato quando parla di ricchezza. Retaggi culturali, religiosi, senso di ingiustizia o di insoddisfazione si sommano in giudizi complessivamente negativi. Ma qualsiasi cosa sia la ricchezza (anche solo cercare di definirla significa finire invischiati in tematiche filosofiche più che economiche) forse si tratta di qualcosa di più complesso di una semplice “cosa sbagliata”.
Ne riflette Maurizio Sgroi nel suo testo “La storia delle ricchezza – L’avvento dell’Homo Habens e la scoperta dell’abbondanza” (Diarkos). E le conseguenze a cui arriva sono, a tratti, sbalorditive. A maggior ragione nell’epoca in cui i debiti mondiali hanno raggiunto il massimo storico sia a livello italiano (due trilioni e mezzo di euro) che a livello mondiale (305 mila miliardi di dollari). E se fosse proprio la ricchezza, intesa come abbondanza di cose e servizi capace i emancipare l’uomo dai bisogni essenziali, alla base dell’allungamento della vita delle persone, dei progressi agricoli, medici o tecnologici, dell’estensione dei diritti sociali o nel mondo del lavoro e in ultima analisi alla base del concetto stesso di democrazia?
“Dalla società della miseria, dove governavano solo i ricchi, siamo passati alla società della ricchezza, dove governano anche i ricchi, non più da soli” si legge nel testo precisando che alla base c’è l'idea di come la “tirannide si sia trasformata in democrazia”. “Un concetto sorprendente, non scevro però da rischi e pericoli: la crescita disordinata del credito più facilmente generare autodistruzione della ricchezza. E quindi diminuire la nostra libertà”.
Quello che l’autore definisce “espansione dell’individuo” (della ricchezza, della popolazione, della longevità, del tempo libero a disposizione, della dotazione di oggetti) rischia di portare ad un nuovo assolutismo: quello dell’iperconnessione e dei big data. Una tendenza che se non governata potrebbe portare all’autodistruzione.
“Saremo globali o non saremo” conclude infine ricordando che l’Europa di oggi somiglia tremendamente "al Sacro romano impero: una disunità che equilibra le potenze laterali". "Un altro gigantesco non-Stato cuscinetto” che rischia quindi di fare la stessa fine del Sacro romano impero. E che rischia di trascinare nella sua caduta anche la ricchezza accumulati da generazioni e generazioni.