AGI - Addio a Giampiero Neri, nom de plume del poeta Giampietro Pontiggia, morto questa notte a 95 anni a Milano, dove abitava da più di sessant'anni al numero 12 di piazzale Libia, un luogo cui aveva dedicato anche una delle sue ultime opere. Il "Neri" era nato a Erba il 7 aprile 1927, anni ed era il fratello maggiore di sette anni dello scrittore Giuseppe Pontiggia cui fu legato, per tutta la vita, da un complesso rapporto.
La giovinezza, nell'amata provincia lombarda, era stata toccata da due segni opposti. Da una parte l'uccisione del padre nel 1943 in un agguato compiuto da due partigiani, dall'altra l'incontro con il professor Luigi Fumagalli, all'Istituto Annoni di Erba, che lo fece sognare con i suoi paradossi, le lezioni all'aperto e l'amore per i classici. Al termine della guerra Neri conseguì il diploma di maturità scientifica, si iscrisse poi alla facoltà di Scienze Naturali, ma sarà un percorso che non riuscirà a terminare anche per far fronte alle esigenze economiche della famiglia. Nel 1947 inizierà a lavorare presso il Banco Ambrosiano e in banca, pur passando per diversi istituti, resterà fino all'età della pensione. (A differenza del fratello Peppo, che si svincolerà presto dallo stesso lavoro e a "La morte in banca" dedicherà il suo primo libro, un romanzo breve del '59).
Un esordio tardivo
Incoraggiato dal fratello, Neri continuò a coltivare la passione letteraria. I suoi primi testi uscirono nel 1971 per l'Almanacco dello Specchio di Mondadori. Tardivo, poi, il suo esordio, del 1976, con una prima raccolta intitolata "L'aspetto occidentale del vestito", pubblicata da Giovanni Raboni nei "Quaderni della Fenice" di Guanda. All'uscita della sua prima opera, subito, fu pure entusiastica l'accoglienza di Giovanni Giudici che sul Corriere della Sera lodò i suoi versi distillatissimi, austeri e severi. E, nel contesto di quella che Luciano Anceschi definì la "linea lombarda", Neri, considerato il decano della scuola, era da molti conosciuto anche per la sua attitudine petrosa, per la sua ricerca di compattezza stilistica, per il suo carattere schivo che gli valse una celeberrima definizione di Maurizio Cucchi, quella di "maestro in ombra" della poesia italiana.
Dopo lo sperimentalismo della prima raccolta, la scrittura di Neri si fece sempre più limpida e asciutta, attenta ai dettagli, lontana da ogni artificio retorico. Indugiava sul tema dei vinti, la violenza e la memoria sono stati il basso continuo della sua ricerca poetica. Spesso premiate e, comunque, contraddistinte da successo di critica anche le opere successive all'esordio tra cui "Liceo", 1986; "Dallo stesso luogo", 1992; "Teatro naturale", 1998; "Armi e mestieri", 2004; "Paesaggi inospiti", 2009; "Il professor Fumagalli e altre figure", 2012. Del 2007 l'Oscar Mondadori a lui dedicato.
Gli ultimi anni e l'approdo alla prosa
In ognuno dei suoi scritti, delle sue poesie o delle sue prose poetiche, Neri sapeva regalare intensi lampi di intimità con il lettore. Quasi mai cedendo all'interiorità, alla forza visionaria, preferendo invece la rappresentazione di Storia e vita, l'osservazione di uno spazio rarefatto: spesso quello del suo paese d'origine Erba, capace pure di assurgere a scena del senso, dell'amore e della vita.
Negli ultimi anni aveva lasciato le poesie per dedicarsi alla prosa, ma a chi gli chiedeva se scrivesse in poesia o in prosa, rispondeva: "Scrivo poesia in prosa". Del resto, aveva sempre confidato che non gli interessasse il computo delle sillabe, quanto la ricerca della verità: "Ho spesso accostato la poesia alla ricerca della verità, perche' richiede tempo, concentrazione, qualità che oggi non sono di moda. Viviamo tempi mercantili, in cui il tempo è denaro, ma chi si occupa di poesia non segue il denaro, ma il tempo in profondità".
Tra i suoi autori prediletti, Omero (quello ruvido dell'Iliade), Cesare e Tacito, Dante (molto più di Petrarca), i "maledetti" Villon e Dino Campana, Manzoni, Thoreau, Pound, Pasternak. E naturalmente i suoi due dioscuri: Melville e Beppe Fenoglio, di quest'ultimo commentava: "Ha una straordinaria asciuttezza nella narrazione. È una scrittura potente".
Ritornava spesso su Manzoni: "I suoi Promessi sposi sono il poema moderno, l'unico che conosca in questo senso. Tutta la nostra letteratura contemporanea vi è debitrice. Penso per esempio al "Giardino dei Finzi Contini" di Bassani. Il "poema" di Manzoni era piaciuto a Stendhal, a Goethe, e piace ancora adesso... l'argomento era interessante, il lettore si ritrovava perché affronta questioni inesauribili, c'è uno sguardo realistico sulla vita, sull'uomo, su tutte le vicende umane".
Il personale canone di Neri si può leggere in "Ritorno ai classici" (Ares 2021), libro intervista con Alessandro Rivali, in cui scriveva: "I classici sono fatti per essere letti, raccontano di gioia e di dolore, sono l'immagine di noi stessi, sono il frumento, il nostro pane quotidiano. Omero nutre e per questo tutti gli artisti tornano a lui. Se nella letteratura non ci fosse il mistero, sarebbe alla portata di tutti".
Negli ultimi anni Neri aveva una speciale consuetudine con i Vangeli e in un'intervista all'Osservatore romano aveva confidato: "Sono una lettura straordinaria, infinita: non si finisce mai di leggere i Vangeli perché sono sempre nuovi, sempre attuali, presenti, eppure obliati dalla quotidianità, poi all'improvviso una citazione, un'immagine ce li riporta vivi davanti agli occhi. L'episodio che amo di più è quello dell'adultera, perché ci mette di fronte alle nostre miserie, siamo tutti peccatori e quindi non dobbiamo giudicare".
Consigli di lettura
Neri è stato un grande solitario della nostra poesia, eppure il suo magistero sarà di lunga durata. Per conoscere questo vero protagonista del secondo Novecento si possono cercare la recente Antologia personale uscita per Garzanti (2022)e la quadrilogia Ares: "Da un paese vicino" (2020), "Piazza Libia" (2021), "Un difficile viaggio" (2022) e "Un insegnante di provincia" (2022), nonché "Giampiero Neri - Un maestro in ombra", la sua biografia in forma di conversazione con Alessandro Rivali (Jaca Book 2013).
Come congedo si puoòricordare una prosa dedicata proprio a un maestro zen (Neri amava molto la sapienza orientale): "Che la seconda parte della vita sia occupata a contraddire la prima e' di comune esperienza, per quanto spiacevole. Si salva poco di quello che avevamo pensato, forse niente. Cosa rimane allora del tempo passato? Si dice di un maestro zen che, prossimo a morire, aveva invitato i discepoli nel suo giardino e rivolto a loro, sentendo gli uccelli cinguettare sui rami, aveva detto: "È tutto questo e nient'altro..."".