Il ritorno di Ultimo a Sanremo: “Non è una rivincita”
AGI - Ultimo a Sanremo rappresenta, perlomeno sulla carta, il più importante dei colpi messi a segno da Amadeus per il suo quarto festival, perché al momento il cantautore erede della grande scuola romana è uno degli artisti più attrattivi e vendibili del panorama musicale italiano.
Niccolò Moriconi, così all’anagrafe, ha già venduto oltre 250mila biglietti per il tour negli stadi che lo aspetta questa estate, un fenomeno di dimensioni gigantesche, in quanto a certificazioni della FIMI, potrebbe ridipingere casa d’oro e di platino con tutti quelli che si è portato a casa; ma soprattutto Ultimo ha posto le basi per restare, per assumere quasi un ruolo nella vita di chi lo ascolta, specie giovanissimi, per i quali la sua musica è particolarmente significativa.
Perché Sanremo in un momento in cui tu, di fatto, sei uno dei pochissimi in Italia che non avrebbe bisogno della spinta del Festival?
Proprio per questo motivo, perché è un momento della mia carriera in cui sento che devo scrivere la mia storia discografica, presentare “Alba” a Sanremo significa tante cose. Innanzitutto presentare un disco con quella luce lì è un regalo che posso fare alla mia musica, nel senso che lo faccio sentire a più persone possibili, e poi per chiudere un cerchio con Sanremo in modo diverso, vado semplicemente per presentare una mia canzone e per vedere quella canzone sotto una luce che, secondo me, merita.
Cos’ha “Alba” di particolare?
Ho scritto “Alba”, che poi è il pezzo che mi ha fatto scrivere tutto il disco, e ho avito la sensazione, magari solo mia, che fosse una cosa diversa dalle altre che avevo scritto, non ha una struttura strofa-ritornello-strofa-ritornello, non ha un ritornello in realtà, ha un crescendo, e l’idea di presentarla lì è venuta per chiudere un cerchio e far capire che sono anche un’altra cosa rispetto a quello che fino ad oggi ho fatto e che sarò altre cose. Normale che io sia cresciuto artisticamente dopo quattro anni…
Senti l’esigenza di chiudere il cerchio a causa di quella brutta scena in sala stampa quando sei arrivato secondo dietro Mahmood? Vuoi prenderti una sorta di rivincita?
No, no, non vado lì per una rivincita, poi si vince in diversi modi, sia nella vita che nella musica; credo che il palco di Sanremo non serva per non essere dimenticato ma per presentare una propria canzone nella quale si crede e io infatti vado lì per partecipare. Per me quel palco è importante, io gli sono riconoscente e ci porterò “Alba”, che rappresenta una mia crescita artistica, la risposta è già nel fatto che ci vado.
La grandezza del tuo successo spesso ci fa dimenticare che sei giovane e sulle scene da relativamente pochissimo tempo…senti come esigenza il fatto di evolverti artisticamente?
Certo, ma ancor di più sento l’esigenza di mettermi in gioco, non è che se uno fa gli stadi poi non può fare Sanremo, io faccio gli stadi ma quello è un percorso live che c’è, poi discograficamente sento che ancora devo scrivere la mia storia, devo ancora creare il mio repertorio, su cui poi mi potrò sedere tra X anni, ancora non me lo posso permettere.
Tra dieci/venti anni, tu sarai ancora giovane, in fase di maturazione, ti chiedi mai che genere di artista vuoi diventare?
Si e faccio delle cose oggi in modo tale che questo possa avvenire, per me è importante riuscire a durare nel tempo, perché un conto è arrivare e un conto è riuscire a mantenersi. E quello lo fai con le canzoni, per questo dico che è importante oggi buttarsi e scrivere la propria storia, perché questo lavoro poi te lo ritrovi domani.
Io voglio essere un artista che può piacere o no, com’è giusto che sia, ma che ha la propria storia, di canzoni, di concerti, ed ha creduto nelle proprie canzoni. Tant’è che è una scelta coraggiosa quella di partecipare e portare un pezzo come “Alba”, che non ho scritto per Sanremo, anche perché nel disco forse avrei delle canzoni che dal punto di vista dell’accessibilità sarebbero anche più facili, però non aveva senso, voglio tornare con una cosa un po' diversa.
Ai tuoi fan piacerà?
Non posso saperlo perché quando uno scrive canzoni poi quelle fanno quello che vogliono, uno c’ha in mente che deve andare da una parte e poi va da un’altra, come un palloncino che si sgonfia, è imprevedibile il percorso di una canzone.
Cosa si prova a scrivere delle canzoni così significative per chi le ascolta?
C’è una canzone nuova del nuovo disco che parla proprio della connessione con il mio pubblico, che è una cosa unica; perché mi rendo conto, quando canto ad un concerto, che c’è la gente in lacrime, mi rendo conto che la gente va ai concerti non per sentire me ma per sentire se stessi e soprattutto che una canzone non è solo una canzone ma molto di più.
Una canzone del mio nuovo disco si chiama “Le solite paure”, che è un pezzo piano e voce e dico proprio che, è vero, dovrei anche avere una vita, perché tante volte io mi chiudo con la musica e vivo 26 ore su 24 nella musica, veramente, in tutto e per tutto, e questo limita anche la mia vita privata; e nel pezzo dico “Dovrei avere anche io una vita mia, ma ho scelto di usare la mia per creane una collettiva”, che è proprio il senso del mio approccio al pianoforte e alle canzoni.
Per me la prima cosa è rispettare il patto di sangue fatto con il mio pubblico, con cui c’è un rapporto proprio carnale, di vicinanza di anime, io la sento forte questa cosa. Anche il fatto di avere più generazioni mi fa piacere, vedo in prima fila donne di cinquant’anni ed è una cosa che a me personalmente fa credere molto nella musica che faccio, perché mi fa capire che sono sulla strada giusta.
È anche una grossa responsabilità, no?
Sì, perché ti senti, non dico un esempio perché è troppo, ma qualcosa di importante nella vita delle persone, ma allo stesso tempo questa responsabilità non può mangiarmi, perché altrimenti cambierebbe l’approccio che ho nella scrittura. Io devo ricordarmi che scrivo innanzitutto per me, perché scrivere per me è curativo, e poi che, come tutti gli esseri umani, sono fallibile e che se dovessi scrivere una canzone che non rispecchia tutte queste persone, pazienza, può succedere.
Non ho la pretesa di fare sempre la cosa giusta, però faccio quello che per me è importante e vedo che questa sincerità arriva e vivono questa esperienza come una sorta di transfer e per me è motivo di grande orgoglio.
Ma è questo il segreto di Ultimo? La sincerità?
È tutto, la sincerità è tutto, nel bene e nel male, soprattutto per un cantautore. Se canti delle cose che non sono tue, magari il pubblico non lo capisce subito ma lo intuisce e non ti da fiducia…
…insomma lo puoi fregare una volta ma non in eterno…
Esatto, il pubblico sceglie sempre qualcosa di vero.
Prima stavi parlando di un pezzo pianoforte e voce ed io pensavo che parli di un pezzo pianoforte e voce del tuo nuovo album mentre la discografia va da tutt’altra parte…Come vivi questo essere, sulla carta, totalmente diverso da ciò che va in classifica in questo momento?
Penso sia sempre una questione di sincerità, quando qualcuno sente qualcosa di vero, a prescindere che sia brutto o bello, lo premia. Poi secondo me in Italia abbiamo una grande cultura per la melodia, però oggi è diminuita tantissimo; però in realtà ci sono, anche nel rap, tanti cantautori, il rapper è un cantautore…
Be, Marracash ha vinto il Tenco…
Esatto, se pensi a lui, lui è un cantautore, si poi rappa, ma la sua è una scrittura più profonda. O Luchè, che è uno che scrive secondo me in modo molto sensibile, certe canzoni sono veramente belle da un punto di vista emotivo. Io ho sempre ascoltato i cantautori, la mia musica di riferimento è un’altra, quella di Antonello Venditti, di De Gregori, di Baglioni, Vasco, tutto quello che rappresenta la musica italiana ‘70/2000.
Lo stesso Cesare Cremonini per me è un grande esempio, lui è un altro che riesce, dopo tanto tempo, ad essere così presente nella musica, e quella è davvero un’impresa. Oggi penso ai sette anni della mia carriera e in un mondo in cui dopo tre mesi sei dimenticato sembrano tanti, ma io mi rendo conto quanto è difficile nella musica vincere il tempo…
…anche nella vita…
Però in un modo o nell’altro ti siedi a tavolino e una soluzione la trovi, riesci a sopravvivere. Però rimanere è un’impresa.
Guardando le immagini dei tuoi concerti la scorsa estate, di fronte a quella marea di persone, ci si rende conto che non si può arrivare oltre quello; il tuo è un mestiere cui benzina per andare avanti è il sogno, e tu una volta raggiunti questi traguardi cosa sogni in più?
Si prova paura e voglia di continuare a lavorare per riuscire a durare nel tempo. Fare 15 gli stadi è una cosa grandissima, quindi la responsabilità la senti il doppio. E poi cerchi di lavorare, che non vuol dire fare gli stadi tutta la vita, ma essere collocato con un repertorio importante che duri nel tempo, quello è importante.
“Alba” è un pezzo che ho avuto la sensazione che comunque poteva rimanere nel tempo, poi uno può dire che è bella o brutta, ci mancherebbe, ma comunque c’è una verità dentro, una cosa che in qualche modo potrebbe essere captata dalle persone.
C’è un pezzo che ancora non hai scritto? La tua “Donna cannone”, la tua “Questo piccolo grande amore”…
Certo, la sensazione che ho avuto con “Alba” (non parliamo delle canzoni che hai citato tu che sono dei capolavori) è che nella mia discografia sia una canzone oltre, nel bene e nel male, ha una struttura che non ha senso, però mi ha dato qualcosa che le altre canzoni non mi hanno dato quando le ho scritte.
La dimensione live è ormai diventata centrale per qualsiasi artista, figuriamoci per te che fai gli stadi; tu quando scrivi roba nuova pensi a quella dimensione? Pensi che serve che quello che scrivi ha la necessità di funzionare live?
In generale no, ma ci sono state delle eccezioni. Tipo “Vieni nel mio cuore”, il pezzo che ho fatto uscire questa estate, l’ho scritto pensando al tour, infatti ha avuto la risposta che speravo. Ma questa cosa non si manifesta tanto in fase di scrittura ma più che altro in fase di arrangiamento e produzione.
Forse la cosa che funziona meglio dei tuoi pezzi è la struttura, sempre così solida…
Io credo che nella struttura di una canzone sia importante la matematica, credo molto nel suono della metrica.
In questo nuovo album in cosa ti senti cresciuto?
Nei testi sicuramente, c’è una ricerca un po' più astratta, un po' più eterea, un po' più sospesa, e poi, com’è naturale che sia, album dopo album c’è una crescita. Che poi bisogna capire che crescere non significa per forza in meglio, diventi semplicemente una cosa diversa, questo va precisato sennò uno associa sempre la crescita con un miglioramento. Spero di si, ma magari no. Mentre scrivo oggi sento che sto andando un po' più giù, nel profondo.
So che non puoi dirmi né che canzone hai scelto per la serata dei duetti a Sanremo, né chi hai scelto per accompagnarti…
No, anche perché sono l’unico dei quattro che dopodomani ha le prove e non proverà la cover perché ancora non ce l’ho…
Non l’hai scelta?
Ancora no
Che tipo di esibizione vorresti?
Proprio quello che non so ancora.
Deve essere un inferno scegliere un pezzo…
Si, è molto difficile, tra tutti quei pezzi, però mi sa che devo scegliere tra poco.
Eh mi sa di si…tanto a te nessuno direbbe di no per un duetto.
Si, ma anche per la scelta del pezzo
E immagino che sceglierai il featuring rispetto al pezzo…
Si, certo.
E non hai nemmeno una rosa di nomi?
No. Ti giuro no. Ho avuto la testa su altre cose, quando torno domenica da Sanremo ho 3-4 giorni, mi concentro e scelgo.
Sei più incline a scegliere qualcosa che non c’entra niente con il pezzo che porti oppure qualcosa che ti calza a pennello?
No, sceglierò qualcosa che mi piace, una cosa che sento che mi piace fare sul palco.
Istintivamente uno pensa che potresti chiamare Fabrizio Moro…
Non lo so perché noi abbiamo duettato tanto, abbiamo fatto tantissime cose, io poi con lui ho un rapporto bellissimo, siamo veramente fratelli, ci sentiamo spesso, ci vediamo spesso, devo dire che artisticamente abbiamo fatto tante cose, quindi non lo so…
Qual è il risultato migliore che potresti ottenere con questo Festival?
Che “Alba” venga capita da più persone possibili, il mio gol è quello. Portare “Alba” e farla sentire a più persone possibili e che più persone possibili riescano a migliorare in quei tre minuti qualcosa di se stesse.