AGI - "Mililli tutta si rovinò alli pidamenti, il simile Avola; Agosta si rovinò di meta'": le cronache locali di 330 anni fa raccontano cosa accadde la notte del 9 gennaio 1693, quando un forte terremoto di magnitudo 6.2 colpì la Sicilia sud-orientale provocando danni gravissimi ad Augusta, Melilli, Floridia, Avola e Noto, e danni seri in diverse località delle attuali province di Catania, Siracusa e Ragusa; questa scossa fu seguita nelle ore successive da numerose repliche fin quando, la sera dell'11 gennaio, un'altra violentissima scossa di magnitudo 7.4 devastò gran parte della Sicilia orientale e in particolare molte località del Val di Noto. La statistica ufficiale, redatta nel maggio 1693, riporta circa 54.000 morti, di cui quasi 12.000 nella sola Catania (il 63% dei circa 19.000 abitanti di allora); 5.045 (51%) a Ragusa; 1.840 (30%) ad Augusta; 3.000 (25%) a Noto; 3.500 (23%) a Siracusa, e 3.400 (19%) a Modica
Fu l'Apocalisse: Catania, già seriamente danneggiata dalla distruttiva eruzione dell'Etna del 1669, fu rasa al suolo, così come Acireale, Augusta e circa settanta città e centri urbani nel Ragusano, Siracusano e nel Catanese che subirono danni gravissimi. In molte località della Sicilia orientale, sparse tra Messina e l'area iblea, si aprirono fenditure nel terreno, dalle quali, in molti casi, fuoriuscivano gas o acque calde e altri materiali fluidi. Nel territorio ibleo, dove si ebbero i massimi effetti, vi furono frane e smottamenti, che in alcuni casi sbarrarono e ostruirono corsi d'acqua portando alla formazione di nuovi invasi. Tutto il periodo sismico fu, inoltre, accompagnato da un'intensa attivita' dell'Etna.
La scossa dell'11 gennaio, spiega l'Ingv sul proprio sito, la più terrificante in mille anni in Italia, generò ondate di tsunami che investirono diverse aree della costa orientale della Sicilia, da Messina a Siracusa. Gli effetti più gravi si ebbero ad Augusta, dove l'onda di maremoto raggiunse l'altezza di 30 cubiti (circa 15 metri) danneggiando le galere dei Cavalieri di Malta ancorate in rada e inondando la parte della cittaà prospiciente il porto. A Catania il mare dapprima si ritirò dalla spiaggia per alcune decine di metri, trascinando alcune barche ancorate presso la riva, poi a più riprese si riversò violentemente sulla costa con onde alte oltre due metri che entrarono in città fino alla piazza San Filippo (l'attuale piazza Mazzini).
C'erano gli spagnoli, a dominare l'Isola. In una lettera del 12 gennaio, due funzionari di Linguaglossa riferivano così al Vicerè: "El Secreto y Proconserbador de la Ziudad de Linguagrosa en carta de 12 avisan que el Viernes nuebe a mas de quatro horas de noche oyeron un gran temblor de tierra que duraria cerca de un miserere, y no hizo dano mas que aberturas en casas y iglesias; que con el mismo terror repitio el dia 11 a 20 horas y media y duraria otro miserere infundendo mayor horror por ser de dia y verse abrir la tierra, precipitar los edificios, Iglesias, Combentos, y casas, los quales han quedado abandonados, retirandose la gente a havitar en la Campana pasando artas nezesidades".
Responsabile dei terremoti fu la scarpata di Malta, la cui pericolosità resta uguale oggi nella sua funzione di cerniera tra la placca africana e quella europea e in quella, spettacolare nella sua manifestazione esterna, di sorgente del magma dell'Etna. Dal punto di vista statistico, sussiste una probabilita' del 10% circa che, nell'arco di 50 anni, un sisma medio-forte (con accelerazione al suolo 0,15 - 0,30 g) si verifichi nell'area della Sicilia Orientale. Nella consapevolezza, a quel tempo non dettagliata, di questo rischio geologico, costante e sul quale l'uomo non puo' intervenire, la reazione delle popolazioni e delle classi dirigenti di allora fu esemplare e rappresenta una lezione per i contemporanei, troppo spesso impegnati a dimenticare il connubio tra Bellezza e Sicurezza, che vide nascere oltre tre secoli fa il Barocco della Sicilia orientale.
"Appena dopo le scosse del 9 e 11 gennaio 1693 - spiega sulla rivista on line tafterjournal.it Lucia Trigilia, docente di Storia dell'architettura all'Università di Catania e autrice di vulumi sul Val di Noto - il vicerè nomina suo vicario generale per la ricostruzione Giuseppe Lanza Duca di Camastra. Questi, dotato di amplissimi poteri, si reca immediatamente nel territorio colpito e, avvalendosi della collaborazione di tecnici della statura dell'ingegnere militare Carlos de Grunembergh, è in grado di gestire l'emergenza con scelte coraggiose. Grande azione di Stato e forte capacità organizzativa sono le due condizioni che sembrano realizzare gli esiti di altissima creatività e costituiscono una risposta efficace agli effetti del sisma". "I protagonisti riescono - prosegue la studiosa - nell'immane impresa di tramutare la sciagura in "occasione'".
Le classi dirigenti spagnole mettono in moto un sapere artigiano che nei cantieri trova la sua massima espressione e negli architetti stimola il confronto con quanto accade nell'architettura europea. "La cultura del progetto e la cultura del cantiere - prosegue Trigilia su tafterjournal.it - non di rado costituiscono un'unità inscindibile. Ma sono spesso i capimastri e le maestranze artigiane ad assumere le funzioni direttive e progettuali del cantiere. La tradizione artigiana si perpetua qui da padre in figlio, all'interno di famiglie che costituiscono delle vere e proprie 'dinastie', cui non sfugge il controllo della produzione architettonica".
Capimastri, artigiani, operai, e 'politici' non si fanno intimorire dalla repliche delle scosse, che si susseguono per almeno altri due anni e si mettono all'opera già quattro mesi dopo i terremoti di gennaio, con una determinazione tale da far impallidire i costruttori della cattedrale immaginata da Ken Follett ne "I pilastri della terra". Sono loro a cogliere la potenzialità della pietra bianca degli Iblei e quella nera dell'Etna, con cui modellare le nuove città, spesso costruite altrove rispetto al sito originario (è il caso, ad esempio, di Occhiolà, rinata nella straordinaria esagonale Grammichele) e con criteri per quell'epoca antisismici: ampie piazze con annesse vie di fuga, un giusto rapporto tra altezza degli edifici e larghezza delle strade, mura spesse, volte finte e pilastri al posto delle colonne. Nella relazione sulla costruzione della nuova chiesa di San Michele Arcangelo a Scicli, spiega ancora Trigilia, l'architetto Gagliardi dichiara che e' sconsigliabile realizzare la volta reale e suggerisce di costruirla con legname, 'virgoni' e gesso "per piu' facilmente resistere alla scossa del terremoto".
La Sicilia mostra tenacia nel guardare all'Europa: Catania rinasce su un nuovo tracciato urbano, a Siracusa viene ricostruita la facciata della cattedrale, nella Contea di Modica viene fuori una successione di centri urbani disegnati come 'quinte' teatrali, un set cinematografico naturale in grado di stupire, incantare e attrarre, nei secoli della 'Settima arte', registi e sceneggiatori, da Pietro Germi (Divorzio all'italiana) a Michelangelo Antonioni (L'avventura) fino a Franco Zeffirelli (Storia di una capinera), Giuseppe Tornatore (L'uomo delle stelle) e i fratelli Taviani (Kaos), per non dire di Montalbano, che qui ha trovato la propria 'casa' narrativa.
E nei borghi montani, quelli che oggi si svuotano degli abitanti, nascono "vere e proprie perle architettoniche - scrive Paolo Nifosì in Storia mondiale della Scilia (Laterza) - dal Sant'Antonio Abate di Ferla all'omonima facciata di Buscemi, al San Paolo di Palazzolo, alla Maddalena di Buccheri, alla Chiesa Madre e alla Badia di Sortino". "Protagoniste - continua Nifosì - sono le famiglie di capimastri, architetti e scultori: gli Alessi, i Mastrogiacomo, i Ferrara, capaci di dialogare con gli architetti Nicolò Sapia, Carlo Maria Longobardi, e determinati a esaltare le componenti decorative dei portali".
E poi c'è Noto, "L'ingegnosa Noto" di Leonardo Sciascia, il "giardino di Pietra" di Cesare Brandi: "La piazza - scrive lo scrittore di Racalmuto - comprende un complesso di edifici come il palazzo Landolina, il palazzo Vescovile, la chiesa del Salvatore: e ciascuno da solo potrebbe arricchire una piazza. Più avanti,...tra san Corrado e san Domenico, sulla destra, si apre altra incantevole prospettiva: la via Nicollaci, col palazzo omonimo (o di Villadorata), armoniosamente chiusa da una chiesa. I grandi mensoloni scolpiti che sostengono gli ampi balconi, cavallucci, meduse come cherubini (o cherubini come meduse) e mostri, hanno come uno slancio verso l'altro lato della strada: per cui tutta la strada sembra obbedire al loro slancio, congiungersi, trovare unità di musica".
"U terremoto ranni" resta nella memoria di chi già ricostruisce, e all'Apocalisse subentra la Genesi: "La citta' costruita - scrive Flavia Schiavo, docente di Urbanistiica all'Università di Palermo, in un saggio dedicato alla 'narrativa' del terremoto - e' espressione di volonta' creatrice, evolutiva, normata nel tempo, che incontra sempre il suo alter ego - a cui si ascrive quella citta' implicita e a tratti manifesta, distrutta e rasa al suolo, per cause naturali o antropiche".
Vale a riassumere il tutto, in questo senso, la rielaborazione di ciò che accadde nella scrittura di Vincenzo Consolo (L'Olivo e l'olivastro, Mondadori): "...nell'anno 1693, il 9 gennaio, ad ore 4 di notte, s'intese un gagliardo terremoto che rovinò molte fabbriche con la morte di 200 e più persone e nel dì seguente ognuno si pose nelle pianure dentro e fuori della città, ed ivi per il timore della replica d'un sì gran flagello dimorò per tutta la notte del sabato ... Appena erano toccate le ore ventuno della detta domenica, compiendo l'ore quaranta, fece un terremoto così orribile e spaventoso che il suolo a guisa d'un mare ondeggiava, li monti traballando si diroccavano e la città tutta in un momento miseramente precipitò con la morte circa di mille persone. Cessato questo sì fiero terremoto, si turbò il cielo e s'annuvolò il sole, con dar piogge, grandini, venti e tuoni...Ricostruirono su strade sovrapposte e parallele, col tufo tenero del color dell'oro, una città frontale, uno scenario abbagliante, un teatro delle meraviglie che, all'aprirsi a ogni aurora del sipario della notte, lasciasse stupefatto chi guardava, chi veniva dal basso, dalla piana".