AGI - "Eccomi qui. Ero finalmente diventata una bambina e basta". è un potente passaggio di testimone l'incipit di 'Tutto quello che non avevo capito (Una bambina e basta cresce)' sequel di 'Una bambina e bastà il romanzo autobiografico cult con cui nel '94 Lia Levi ha esordito nel mondo della narrativa raccontando lo scossone esistenziale subito nella sua infanzia, quando le leggi razziali del '38 si abbatterono sugli ebrei, ribaltando le loro vite. Un libro per ragazzi, edito da E/O che ha conquistato anche il pubblico adulto, iter destinato ad accompagnare anche "Tutto quello che non avevo capito" che HarperCollins manda in libreria domani, a ridosso del Giorno della Memoria. "Un romanzo di formazione che sfiora i temi della persecuzione razziale ma prende le mosse da lì" spiega Levi all'AGI.
La bambina ebrea del primo libro è ormai un'adolescente che torna finalmente e trionfalmente nella sua scuola pubblica, in terza media, da cui era stata estromessa dalle leggi razziali non si troverà in un mondo dove la Liberazione ha messo tutto a posto e il bene trionfa finalmente sul male ma dovrà aprire gli occhi davanti alla notizia che una compagna ebrea di giochi è finita in mani naziste e affrontare le difficoltà del ritorno a una vita normale tutta da ricostruire dalle amicizie alla scuola all'amore, mixate ai tumulti e alle incertezze dell'adolescenza. La vita nell'Italia e nella Roma del dopoguerra che Levi racconta con la sua profonda lievità è quella dove mancano i soldi per mangiare e dove per il gas e l'elettricità in casa bisogna rispettare i turni (esilarante il passaggio delle mamma "beccata" con la pentola sul fuoco dalle forze dell'ordine che taglieranno i fili della corrente, punizione aggirata con l'allaccio a quelli dei generosi vicini di casa). Il vestito per la cerimonia del bat mizvà (la maggiorità religiosa ebraica) è quello appartenuto a una cugina (ma la felicità sarà regalata dalle scarpe nuove) e Roma è una città dove la Lia adolescente si batterà con coraggio e passione per rivendicare gli ideali di democrazia e libertà.
La prima disillusione è quella relativa a una burocrazia feroce anche di fronte a palesi discriminazioni come quelle subite dalla piccola Lia che per sfuggire alla persecuzione nazifascista aveva dovuto nascondersi e frequentare la seconda media in un istituto di suore, con un cognome falso finito ovviamente anche sulla pagella. Una pagella che secondo lo zelante funzionario del Provveditorato non ha valore giuridico, come non lo ha, spiegherà, la lettera della madre superiora. Morale: per accedere alla terza media Lia dovrà affrontare gli esami di riparazione e il "Siete voi, lo Stato, che dovreste riparare all'infamia che avete fatto piombare sui cittadini ebrei" di suo padre resterà uno sfogo inascoltato. Ma l'incontro-scontro più duro con la realtà sarà quello relativo al primo giorno di scuola, quando la ragazzina che un pò temeva le domande dei compagni sulla sua sparizione dalla classe durante la persecuzione nazifascista si renderà conto che sull'argomento regna un disagio che ha tacitamente azzerato ogni domanda: "Nessuno mi ha fatto domande, nessuno. Ma certo, c'era stata la guerra, eravamo tutti figli di questa guerra e ognuno l'aveva vissuta da sponde diverse: famiglie fasciste o antifasciste, padri prigionieri o caduti in guerra, partigiani o traditori, salvatori di persone in pericolo o delatori, poveracci o borsari neri. Chissà da dove proveniva ognuno di noi".
Tutto quello che non aveva capito affiora e accelera la crescita dell'ex bambina, tra le giornate con le amiche, i palpiti per un ragazzino dai riccioli biondi che ribattezza Lorenzo (come il Magnifico) le emozioni per il referendum Monarchia-Repubblica e la reazione fiera di una Lia tredicenne che seduta in classe accanto una compagna che loda il re e Mussolini chiede alla maestra di cambiare banco: "è stato il mio primo gesto politico", spiega la scrittrice all'AGI. Il libro si chiude con una "grande meditazione finale" a due anni dalla Liberazione in cui la scrittrice elenca "Tutto quello che non avevo capito": "Non avevo capito come va la politica, che la gente si dimentica di quello che le è successo due minuti prima, che il male anche se sconfitto lascia ritagli a disposizione di chi vuole continuare ad usarlo, che l'amicizia può essere profonda ma anche capricciosa e imprevedibile e che , soprattutto "il giusto e l'ingiusto si divertono a mischiarsi e ti fanno trovare in confusione". C'è una cosa invece che la Levi tredicenne aveva capito e che continua a guidarla anche oggi, a 91 anni: "Che è bello essere leali e coraggiosi, come gli scout".