AGI - Fuori del tempo, fuori luogo, fuori dalla logica, Benjamin Netanyahu si prepara a vincere nel modo più strano le quinte elezioni politiche che un Israele stremato e confuso celebra in appena tre anni. Il responso è atteso per il primo novembre e lui per l'appunto fuori di ogni buon senso esce in libreria con le sue memorie, seicento pagine in cui scrive l'unica cosa che un aspirante premier di un paese filoccidentale deve guardarsi dallo scrivere.
A Benjamin Netanyahu piace Vladimir Putin. Gli piace parecchio e non lo nasconde. Gli piace, verrebbe da dire senza nemmeno un filo di sforzo, più di quegli Stati Uniti in cui pure è cresciuto, di cui parla la lingua con rara perfezione e dove si è laureato al Mit, non un'università qualunque. Suo padre, del resto, insegnava a Cornell: una famiglia intellettuale che sarebbe facile immaginare perfettamente americanizzata. Invece no: a lui gli Usa non piacciono mica troppo. A lui piace Putin.
Scrive (a proposito, il libro è "Bibi: My Story", pubblicato negli Stati Uniti da Simon & Schuster) scrive, dicevamo, che il Presidente russo è uomo di durezza come di intelletto, il cui risentimento nei confronti dell'Occidente deve tutto sommato essere capito perché spinto da una constatazione. Quella per cui "l'apertura della Russia ha portato con se' la rivelazione che il Paese era di fatto crollato, senza alcuna speranza di ripresa, molto al di sotto dell'Occidente". Aggiunge poi: "Io l'ho capito bene".
Difficile immaginare in tutto l'Orbe un altro aspirante premier che si presenta con un biglietto da visita del genere, che lascia immaginare più una vicinanza a Dugin e alle sue teorie sovraniste che non ai valori di una liberaldemocrazia. Eppure è così, e non è detto che agli israeliani dispiaccia, dal momento che per lui hanno già votato più volte.
Addirittura ne hanno il primo ministro più longevo della loro storia a dispetto di: processi e corruzioni vere o presunte che siano; episodi di arroganza verso lo staff anche domestico e, soprattutto, una linea politica che solo a citarla fa drizzare i capelli non tanto all'ala liberal dell'opinione pubblica nazionale, ma quella della comunità ebraica americana.
"Ma chi co si crede di essere? Chi (ripetizione dell'interiezione, ndr) è qui la superpotenza, noi o lui?" esplose una volta un Bill Clinton fuori dei gangheri, e con lo sfogo fece emergere una grande verità. E cioè che Netanyahu ritiene se stesso non parte della storia nazionale, ma storia nazionale se stesso. Più di Ben Gurion, più di Golda Meir o di Sharon o Rabin.
Può allora egli, cioè Israele, tener conto di quel che gli chiede un altro Stato, un'altra nazione? No, nemmeno se questo Paese è gli Stati Uniti d'America, cui lui pure deve molto della propria personalità e della propria formazione. Anzi, proprio per quello.
A ben guardare, controluce queste pagine sono ben piu' antiche di quanto non dicano le cronache che esse contengono. Hanno cento, cinquecento, più di mille anni. Sono pagine scritte secoli e secoli fa. Sono le pagine dell'epopea dei Maccabei, stirpe di fratelli in armi contro il mondo, ellenizzante dominatore e globalizzato, dei Seleucidi.
Erano fratelli, buoni conoscitori della cultura pagana e cosmopolita della koiné, che ad essa si ribellarono nel nome dell'unicità di Israele. Ne moriva uno, subentrava l'altro alla guida dell'insurrezione. Alla fine, inutile dirlo, la spuntarono loro e il Regno ebbe nuovamente dimora là dove gli competeva.
Anche Bibi Netanyahu ha preso il posto di un fratello combattente: Yonatan, ucciso nel 1973 in un'azione di commando contro dei terroristi palestinesi. Era il maggiore, era destinato ad essere il capofamiglia. Benjamin gli succedette come Gionata Maccabeo prese il posto di Giuda dopo la battaglia di Elasa e Simone quello di Gionata. Sarebbe quindi fuorviante pensare ad un Netanyahu attratto dalla banalità del sovranismo, perche' lui va molto piu' a fondo.
Va alle radici stesse dell'identità di Israele, o almeno a quelle che lui ritiene lo siano. Se questo poi lo porta a simpatizzare per Putin, pazienza. Anche Putin, nella sua visione, in fondo lotta per le radici identitarie della Russia. Fuori del tempo, fuori della logica.