AGI - Che cosa sta succedendo nel giallo siciliano? Facciamo un passo indietro. Da sempre la Sicilia è considerata un laboratorio. Politico, innanzitutto, perché gli esperimenti che nell’isola vengono compiuti, poi si trovano replicati su vasta scala a livello nazionale. Ma anche sociale. Più raramente economico, dato che in effetti poco si presta ad alchimie finanziarie che non prevedano il quasi esclusivo sperpero di denaro pubblico.
Perché allora non un laboratorio letterario? Senza andare a scomodare Ciullo d’Alcamo o Federico De Roberto, guardiamo più ai giorni nostri e concentriamoci su un fenomeno che troppo spesso viene celebrato solo en passant: lo sdoganamento della letteratura di genere.
Se nei primi del ‘900 Luigi Natoli ha dato dignità letteraria (un po’ tardiva ma sicuramente più completa e complessa) ai romanzi di cappa e spada; a fine secolo è a Camilleri che dobbiamo il completamento di quel processo che Simenon aveva cominciato da un pezzo in Francia: far ascendere il giallo a genere letterario e non semplicemente narrativo.
A Camilleri dobbiamo però di più l’introduzione di un fattore di alleggerimento il cui compito è solo apparentemente quello di sdrammatizzare il racconto. Nelle storie di Montalbano ci sono elementi estranei alla letteratura di genere – il gusto per la buona tavola, una certa sensualità che non è quella torbida dei romanzi di Chandler o di Ellroy, personaggi di una comicità al limite dello ‘slapstick’ – che hanno trovato sviluppo nelle opere più recenti di autori come Gaetano Savatteri e Roberto Alajmo.
Il primo, autore della fortunata serie di gialli ambientata a Makari, presenta personaggi dichiaratamente comici Peppe Piccionello pensati per rubare la scena al protagonista; il secondo di recente ci ha regalato due romanzi scritti come divertissement ma che si leggono come trattati sociali sulla palermitanitudine.
Non è un caso che si tratti di autori siciliani – palermitani per essere più specifici – mentre in un maestro del giallo come il napoletanissimo Maurizio de Giovanni questo elemento di comicità è quasi assente e quando viene accennato si disperde in atmosfere cupe quando non addirittura sinistre.
Un destino (nel senso di approdo) apparentemente strano per gli autori siciliani, partoriti da una terra che ha fatto della tragicità la propria cifra stilistica (sia nella finzione che nella realtà), ma tanto quanto potrebbe sembrare inedito l’approccio drammatico di de Giovanni, figlio di uno dei luoghi più chiassosi e vivaci del Globo.
Oggi a Savatteri e ad Alajmo si va ad affiancare un altro autore palermitano, Giorgio Glaviano, sceneggiatore per il cinema e la tv, autore del romanzo ‘Presto verrai qui’ (Marsilio, 350 pagine, 14 euro). Un romanzo sorprendente per chi aveva apprezzato la sua opera precedente, il torbidissimo ‘Il Confine’ (da cui è stato tratto il film ‘Ai confini del male’.
Approcciare ‘Presto verrai qui’ con lo stesso animo con cui si erano lasciate le pagine de ‘Il Confine’ è straniante e disorientante. Tanto quello era fin dalle prime pagine un giallo costruito come un meccanismo infallibile che si svelava con un ordine di tempi magistrale, quanto questo è una baraonda di personaggi, di situazioni, di false piste. Tanto quello era immerso in un silenzio riflessivo, quanto questo è verboso e caciarone.
Un giallo, si direbbe, scritto da un’altra mano, ma solo fino quando non si scivola negli ingranaggi ancora una volta perfettamente incastrati della crime story e allora si riconosce l’abilità di Glaviano di guidare i suoi personaggi verso il disvelamento del mistero.
La novità è che l’autore, in questo romanzo, ha fatto un passo oltre, affiancando (non seguendo) i colleghi palermitani e rendendo vero protagonista della storia quello stato sociale (letteralmente e non solo letterariamente) che è la Sicilia di oggi, popolata di personaggi che sbarcano un lunario che è innanzitutto umano, districandosi tra i mille vizi in cui una struttura politica, burocratica e morale che li vorrebbe immobili, testimoni incapaci di reagire o di mutare il destino.
Della trama gialla – che finisce per svilupparsi come un grande gioco, molto più grande di quello che credevano di affrontare i suoi piccoli personaggi – non va svelato nulla per amor di racconto, ma da gustare è soprattutto l’umanità che ci racconta, fatta di pizza e birra, di illusioni e delusioni, che la rende così vicina a noi.
Il romanzo sarà presentato mercoledì 28 settembre al Satyrus di Roma alle 18 dall'autore con Sefano Sardo.