AGI - Quale dovrebbe essere l’aspetto di una vittima, per la gente? Da questa domanda prende le mosse la narrazione di 'Un’altra donna', romanzo di Kang Hwa-gil portato in Italia da Elliot Edizioni. Una relazione con un superiore segnata dall’abuso, la denuncia, e poi le reazioni esplosive sul lavoro, in tribunale, sui social, mentre vittime e carnefici si moltiplicano e si confondono tra loro.
Kang Hwa-gil è una delle punte di diamante dell’ondata che sta travolgendo l’Italia e l’intero mondo occidentale con il meglio della cultura sudcoreana, aprendo un dialogo internazionale sulle dinamiche profonde delle nostre società e sul valore contemporaneo della letteratura.
Come descriverebbe a un potenziale lettore la storia di Jin-a?
La Jin-a di Un’altra donna è una persona con molte ferite, che vaga senza meta preoccupandosi di non sapere come comportarsi quando si trova in mezzo agli altri. Direi che è una persona che mette costantemente in dubbio le sue scelte e che non riesce a fidarsi del proprio giudizio. Le ferite ancor più profonde che riceve a causa di ciò la portano a vagabondare per un tempo lunghissimo e Un’altra donna è un romanzo che segue lentamente proprio questo processo.
Nei suoi romanzi si percepisce una forte attenzione al tema della violenza di genere. Si può affermare che questa sia una questione di attualità in Corea del Sud, e, se per lei è così, il mondo della cultura e l’opinione pubblica come si relazionano con questo argomento?
Penso che le questioni legate al genere siano rilevanti a livello globale, non solo nella realtà coreana. In Corea quello della violenza di genere è un problema davvero serio, a cui si sta prestando molta attenzione. Tante donne si sono attivate per risolverlo, le loro voci si fanno sempre più forti e penso che questo varrà anche nel prossimo futuro.
Per la sua scrittura ha svolto qualche ricerca in particolare per documentare le dinamiche legate alla violenza di genere, come ad esempio confrontandosi con vittime di violenza o operatori di organizzazioni dedicate alla loro assistenza?
Non solo in questo caso, ma nel mio processo di scrittura in generale tendo a documentarmi. Trattando un tema legato alla violenza, per questo romanzo ho dovuto necessariamente fare ricerche a riguardo. I giornali, i centri per i diritti delle donne e lo studio di libri e di articoli mi sono stati di grande supporto.
Nella sua produzione letteraria ha preso ispirazione da qualche libro in particolare? Ha qualche autore di riferimento?
Traggo molta ispirazione da altri scrittori coreani a me contemporanei. Guardando i loro lavori non si può far altro che rimanere umili, perché capaci di offrirmi prospettive e di svelarmi mondi che da sola non avrei mai pensato di poter scorgere. Proprio grazie a questo contatto è nato in me il desiderio di dedicarmi con impegno alla scrittura.
In tutto l’Occidente c’è una grande passione per la cultura sudcoreana. Come pensa che mondi così diversi siano riusciti ad avvicinarsi così tanto? Cosa ne pensa di questo fenomeno?
Sono davvero felice e grata di quello che sta accadendo, perché credo che in Corea ci siano molti artisti eccezionali che mi avevano già profondamente influenzata ancor prima che venissero conosciuti all’estero. Il fatto che queste mie stesse emozioni vengano condivise in tutto il mondo mi rende enormemente felice.
Ci sono autori coreani che consiglierebbe ai lettori europei?
Sin da piccola sono stata sempre una grande fan di Park Wan-seo, una scrittrice che nel corso della sua vita ha attraversato il periodo coloniale giapponese, la guerra di Corea e l’era dell’industrializzazione. Trovo che la sua capacità di descrivere la storia coreana sia sorprendente, straziante e allo stesso tempo meravigliosa. Ogni volta che scrivendo sento di perdere la direzione mi rivolgo alle sue opere, che mi sono di grande conforto. Penso che sarebbe davvero bello se fosse possibile diffondere le emozioni che è capace di suscitare.