AGI - Neanche a farlo apposta, il suo libro uscirà il 10 febbraio, alla vigilia dell’allentamento delle restrizioni antipandemia e dell'addio alle mascherine all'aperto. “Una concidenza che mi rende felice”
analizza Marco Mottolese con AGI. Un po’ coincidenza, un po’ si spera, profezia, considerando che i racconti di ‘Mi hanno inoculato il vaccino sbagliato, l’insostenibile solitudine del virus’ (Castelvecchi editore) sono un’accurata fotografia narrativa di come e quanto la pandemia abbia cambiato la quotidianità delle nostre vite e che il suo libro si conclude con una lettera di congedo “al virus malnato” nella quale l’autore lo invita a tornarsene “da dove sei venuto, a gloriarti coi tuoi simili di quanto hai combinato”.
Adesso che stiamo vedendo la luce in fondo al tunnel, Mottolese sottolinea quanto sia importante non dimenticare e che la narrativa del virus dovrebbe essere assimilata a quella post-bellica. “La pandemia è stata una guerra, lascerà dei segni definitivi, era importante lasciare una testimonianza che andasse oltre i resoconti giornalistici”.
Mentre in questi due anni c’è chi si è barricato in casa anche oltre il lockdown lui si è trasformato in una sorta di “Covid teller” andando a raccontare, prima nella sua rubrica su ‘Leggo’ e quindi nel libro, persone, luoghi e solitudini a tempi della pandemia.
Un po’ giornalista un po’ antropologo “un po’ con la lente da Sherlock Holmes, un po’ con la penna di Georges Simenon” come scrive Silvestro Serra nella prefazione, Mottolese è andato a mettere il naso sui bus, sui treni, negli aeroporti, nei festival di cinema colonizzati dalle tende per i tamponi, nelle notti desertificate, nell'iperburocratizzazione delle nostre vite, nello smarrimento dei giovani che prima di baciarsi si accertano che il fidanzatino di turno sia tamponato, nelle sale cinematografiche tristemente vuote, tra i tassisti che filosofeggiavano, puntando a raccontare cosa cambia, cosa si trasforma e cosa rimarrà, soprattutto tra i giovani: “Gli adulti si abituano a tutto, ma per i nati dopo il duemila traumi e ferite resteranno, non avranno i ricordi delle tappe fondamentali della crescita, dalle feste per i diciotto anni a quelle di laurea”.
Non solo. Mottolese racconta anche quanto il virus sia stato un anticipatore di stili di vita, accelerando l’avvento delle piattaforme e quello dello smart working, riuscendo quindi a scovare anche i suoi risvolti positivi: “Il virus ci ha fatto riscoprire l’asperità della solitudine ma anche il suo rovescio della medaglia, cioè la libertà, rallentando le nostre giornate, in modo che avessimo il tempo di pensare, facendoci capire finalmente cosa vuol dire “caducità della vita" - analizza - e permettendoci di scindere al volo i buoni dai cattivi, gli ignoranti dai colti soprattutto la stupidità dall’intelligenza”. Adesso però può anche bastare, come scrive alla fine del libro nella sua profetica lettera al virus malnato “Noi, per un po’, saremmo felici di vedercela da soli”.