AGI - Una ragazzina corre su una piazza invasa dal sole. Non gioca, fugge. Prova a lasciarsi dietro il suo essere femminile plurale. L’uomo è, le insegnano. Le donne sono solo in funzione dell’uomo che hanno accanto. Quella corsa la porterà a provare sulla sua stessa pelle la violenza insita in queste affermazioni e la porterà a dire il primo “No” di una lunga serie. Quella ragazzina è Oliva Denaro, protagonista del romanzo di Viola Ardone (Einaudi Stile Libero, 2021), ambientato in un piccolo paese della Sicilia che, per certe dinamiche sociali, somiglia in modo allarmante alle metropoli del 2022 o alle “piazze” virtuali e socialmediatiche.
Perché ha utilizzato l’anagramma del suo nome per darne uno alla protagonista? E la domanda collegata a questa - scontata, me ne scuso - è: quanto c’è di Viola Ardone in Oliva Denaro?
Oliva Denaro è l’anagramma del mio nome e cognome, l’ho scelto perché era adatto alla protagonista di questa storia e perché sono convinta che la storia di una donna appartenga in qualche modo a tutte”, risponde Ardone all’AGI. “Ognuna, in un modo o nell’altro, si è trovata nella vita a sperimentare episodi di violenza, verbale, psicologica, fisica... A Oliva ho regalato i pensieri, le paure, la meraviglia e i turbamenti della mia adolescenza. In lei c’è un po’ del mio carattere, del mio modo di reagire ai soprusi e alle ingiustizie. C’è il mio senso di giustizia ma anche tutta la mia ingenuità.
Buona parte della storia è ambientata negli anni Sessanta, in un piccolo comune della Sicilia. Sono passati sessant’anni, c’è stato il boom economico, la rivoluzione sessuale, il Sessantotto e il Settantasette, i movimenti. Eppure temi come la parità fra uomo e donna, la violenza di genere, il diritto della donna a disporre del proprio corpo sono tornati al centro del dibattito pubblico. Sembra che in questi anni siano cambiati i costumi, ma che la cognizione del mondo femminile sia rimasta quella. Cosa è mancato secondo lei?
La questione femminile è ancora estremamente attuale: i dibattiti sul “consenso” della donna nel rapporto amoroso, sul limite tra corteggiamento e molestia, sulla partecipazione alla vita politica, sociale e culturale ne sono la dimostrazione. Al punto che esiste una parola di conio recente nel nostro vocabolario per indicare l’assassinio di una donna da parte di un uomo: il "femminicidio”. Questo significa che l’idea del possesso (che si vuol far passare per “amore”) di una donna è ancora radicato nell’immaginario di alcuni uomini, i quali non sono capaci di accettare un “no” come risposta. Quel “no” fa scattare ancora oggi la molla della violenza, il desiderio di eliminare fisicamente la donna che lo ha pronunciato, di cancellarla, letteralmente dalla faccia della terra. Di fronte a fenomeni così complessi non esiste “una” strada ma tante strade, che passano per l’inasprimento delle pene per chi commette violenza contro una donna, per una corretta educazione sentimentale e sessuale nelle classi, per un diverso paradigma nell’educazione familiare, per la scuola, che dovrebbe incentivare le relazioni di collaborazione tra alunni e alunne e proporre un modello educativo che non sia basato sul genere. Forse perché per tanto tempo i diritti delle donne li hanno scritti gli uomini: le donne hanno iniziato a partecipare attivamente alla vita politica di questo paese da poco tempo e ancora non hanno raggiunto posizioni apicali in molti ambiti. Il potere maschile spesso tende a voler ancora dettare legge sulle donne, sul corpo delle donne”.
Nel libro alterna modelli narrativi molto diversi fra loro. All’inizio c’è un utilizzo della ridondanza è un linguaggio diretto, quasi infantile, che sembra sottolineare la condizione di bambina della protagonista. Subito dopo l’abuso subito sembra che il linguaggio si faccia più freddo, meno spontaneo. Infine, nell’ultima parte, adotta lo strumento dell’epistola. A cosa rispondono questi diversi registri narrativi? Quali sono gli autori che l’hanno più influenzata?
Volevo per Oliva una lingua personale, che appartenesse solo a lei, che ricordasse le cadenze del Sud ma che non cadesse nella macchietta o nello stereotipo. Oliva è una che vuole imparare a parlare bene, che cerca parole nuove nel vocabolario per esprimersi meglio e per comprendere meglio il mondo che la circonda. La sua quindi è una lingua letteraria, non mimetica. Non mi piace, da lettrice, entrare in una narrazione e scoprire a un certo punto che l’autore sta bluffando. Il linguaggio deve rendere credibile il personaggio, adattarsi ai suoi cambiamenti e al suo sviluppo psicologico. Il punto di vista, i caratteri, le voci dei protagonisti non devono lasciare dubbi che si tratti di “realtà”, anche se realtà di carta. Per me la scrittura è una questione di “voce”, e anche per questo mi piace sperimentare la voce di più personaggi nel corso della storia. Da questo punto di vista Tolstoj è impareggiabile: anche se la narrazione è in terza persona, puoi riconoscere la voce di ogni personaggio anche da una sola riga di testo”.
Oliva diventa Maestra. Lei è un’insegnante di liceo. Che impatto ha la scuola su temi quelli trattati nel romanzo? E come ha contribuito a formare la coscienza sociale e politica sulla Viola studentessa e sulla Viola insegnante?
La scuola è un laboratorio fondamentale per la creazione di una coscienza civile e sociale. È lì che si impara il rispetto per sé e per l’altro, la convivenza tra le diversità, l’esistenza di diritti che tutti dobbiamo sforzarci di tutelare anche se non siamo coinvolti in prima persona. La questione di genere è molto sentita dai ragazzi ma, paradossalmente, mi sembrano più avanti sul gender fluid che sulla parità uomo-donna. È un lavoro lungo ma che piano piano dà i suoi frutti. Per me gli anni di scuola sono stati molto formativi, soprattutto quelli del liceo: ho imparato avidamente anche dai professori meno disposti a insegnare, quelli più gelosi del proprio sapere. Avevo voglia di conoscere, mi sembrava che quella fosse la strada per trovare il mio posto nel mondo”. (AGI)
Nel romanzo ci sono personaggi maschili estremamente negativi e personaggi maschili estremamente buoni e positivi. Le donne, al contrario, sono disegnate usando tante sfumature diverse. È stata una scelta letteraria e narrativa o risponde alla sua percezione dell’universo maschile e di quello femminile?
Spero di aver dispensato sfumature anche nei personaggi maschili. Salvo Denaro, che è il papà di Oliva, è certamente un uomo buono, un padre attento ai bisogni della figlia, eppure anche lui è pieno di dubbi. Non è sicuro di aver agito sempre nell’interesse della figlia, forse qualche errore lo ha commesso anche lui, è quello che si chiede nell’ultima parte del romanzo. Allo stesso modo Paternò, il “cattivo”, è forse uno che non ha capito la gravità di quello che ha fatto, perché ha semplicemente seguito le leggi, scritte e non scritte dell’epoca. A Oliva alla fine suscita più pietà che disprezzo. Io non ho alcun pregiudizio verso gli uomini, che sono i nostri amici, amanti, compagni, figli e padri. Credo che molti di loro abbiano fatto tanta strada sulla via della parità e che per altri ci sia ancora molto lavoro da fare. Ma questo vale anche per noi donne”.
Tra i personaggi che spiccano sugli altri c’è sicuramente il papà di Oliva. Una figura centrale nel romanzo, quasi un co-protagonista. Si è ispirata a qualcuno in particolare? Come è nato il personaggio?
Mi sono ispirata un po’ a mio padre, perché non mi ha mai imposto né vietato nulla, non mi ha mai giudicata, ma accettata e amata così come sono. Salvo Denaro però è diverso nel carattere: è mite fino a risultare snervante, è silenzioso fino a sembrare apatico. Agli occhi del paese e forse anche della moglie è un perdente, ma nel corso della storia mostrerà una psicologia molto più complicata e qualche risvolto nascosto. È l’uomo dei dubbi, uno che coltiva il dubbio come forma di conoscenza”.
Quando ha pensato alla storia? Come è nata? Come è solita lavorare ai suoi libri?
Quando ho pensato di raccontare questa storia mi sono detta: “ecco, mi sto infilando in un pasticcio. La tematica è spinosa, la Sicilia è complicata da narrare senza cadere negli stereotipi e mi tirerò addosso critiche da ogni dove, sarà un casino”. E poi, mi sono messa a scrivere. Ho voluto far parlare la protagonista, Oliva, ma attraverso la sua voce ho cercato di far sentire anche quelle degli altri, della sua famiglia, in primis, delle amiche, delle comari, di tutto il paese. Infatti, pur essendo un romanzo in prima persona, è in qualche modo corale”.
Che spazio e che importanza ha nella vita di Viola Ardone l’impegno politico?
“Tutto quello che facciamo è “politico”, ogni nostra scelta privata ha anche una ricaduta pubblica. Credere nella scuola e pretendere che funzioni bene: è politico. Pagare le tasse: è politico. Vaccinarsi: è politico. Essere presenti a scuola, ogni giorno, nonostante il cronico disinteresse della “politica” al mondo della scuola, e battersi perché le cose migliorino: è sommamente politico. Anche il disimpegno è politico perché alimenta l’antipolitica e il qualunquismo, la grande piaga dei giorni nostri. E poi c’è la scrittura, che è la cosa più politica del mondo.