In libreria dal 12 maggio ma già acquistabile su Amazon, che lo considera primo tra le novità più interessanti, "Le Religioni spiegate ai giovani" (Mauro Leonardi, Diarkos Edizioni) illustra, con linguaggio accessibile a tutti - le grandi religioni (e anche qualcuna delle "minori”) presenti nel nostro Paese. Per ciascuna di esse, oltre ad un saggio illustrativo, è anche possibile ascoltare un testimone che racconta la propria vita quotidiana. Fra gli altri: Roberto Minganti (Buddhismo), David Parenzo (Ebraismo), Italo Pons (Chiesa Valdese), don Julián Carrón e Chiara Giaccardi (Chiesa Cattolica), Shahrzad Houshmand Zadeh (Islam), Carmelo Persico (Chiesa di Gesù Cristo e dei Santi degli Ultimi Giorni - Mormoni), Luigi Brambani (Scientology). Di seguito pubbliciamo, per gentile concessione dell'autore, un'anticipazione della Conclusione dal titolo "Abitare e rispettare la diversità".
Chi è arrivato fino in fondo a questo libro ha dedicato un po’ del suo tempo non solo a leggere undici saggi su delle religioni, dieci delle quali probabilmente conosceva molto poco, ma anche a incontrare undici testimoni.
Il senso di questo percorso non è quello di poter scegliere un pezzo di ogni religione per cucirsene addosso un vestito nuovo e diverso, e neppure dire semplicemente che ciascuno ha diritto alla propria diversità. C’è in ballo qualcosa di più. Oggi come oggi il dialogo tra religioni è assolutamente necessario e questo libro intende essere, nel suo piccolo, un aiuto per tale dialogo. Un tempo il dialogo inter-religioso era relegato ad alcuni spazi istituzionali in cui dibattevano l’élite culturali, religiose e politiche degli Stati. Oggi invece ciascuno di noi è chiamato a diverso titolo a entrare in dialogo, talvolta anche intimo e importante, con persone di altre religioni.
La sfida della necessità del dialogo tra le religioni pone il problema della riflessività: ciascuno di noi è chiamato a riflettere su come possa essere la propria relazione con chi ha un’altra fede. Se dobbiamo dialogare, il dialogo deve essere vero. I buoni sentimenti non bastano. C’è bisogno che intervenga anche la ragione. Non basta il negativo: “non facciamoci del male”, “non litighiamo”, “non usiamo violenza” e così via. Cosa significa davvero convivere pacificamente? Cos’è questa con-vivenza, questo “vivere insieme”? Il rischio dell’indifferentismo, cioè del “tutti differenti tutti uguali”, è gravissimo perché l’espressione “tutti differenti tutti uguali” dice che la diversità è insignificante, indifferente, ovvero la differenza non vale più, non c’è più, non esiste più, non ha nessun significato.
Ma, se così fosse, questo sarebbe un’enorme problema, perché ciascuno di noi ha bisogno di definire la propria diversità, dal momento che la nostra identità viene definita in quanto differente da quella degli altri: la relazione è possibile solo fra diversi. La soluzione del problema della diversità religiosa, quindi, non è dire che non esiste, che non c’è alcuna differenza – affermazione che, tra l’altro, sarebbe una gravissima menzogna –, ma rendere questa diversità con-vivente con quella degli altri.
Che significa diversità convivente? Significa porre in essere delle relazioni in cui da una parte si mantiene la diversità e dall’altra, nello stesso tempo, si alimenta, attraverso questa diversità, una relazione di piena convivenza. È avvenuto tra cristiani e musulmani nei numerosi secoli e nelle tante nazioni in cui cristiani e musulmani convivevano pacificamente insieme, è accaduto tra cristiani di diverse confessioni dopo gli anni, e forse i secoli, in cui i loro rapporti erano stati di “guerra religiosa”: è l'inter-religiosità, ovvero lo sforzo per trovare degli spazi comuni in cui coltivare gli stessi valori – quello della pace, per esempio – anche se a partire da sensibilità diverse, da modi di vedere diversi, e quindi, in sostanza, in modi diversi.
Se, per esempio, mettiamo a tema la questione della pace, la necessità di sottolineare quanto sia immorale costruire e detenere armi nucleari, non è uguale (nel senso di indifferente) se questo discorso viene portato avanti con una sensibilità e quindi delle ragioni da parte dei cristiani, che vanno a sommarsi a quelle dei musulmani, a quelle degli induisti o a quelle dei buddhisti. Se rimaniamo al livello delle persone concrete – e non dei convegni, pur importanti, tra le istituzioni – è chiaro che ciascuna appartenenza religiosa aggiungerà qualcosa perché non entreranno in dialogo “le religioni” ma entreranno in dialogo delle persone singole: cristiane, induiste, ebree, musulmane e così via, con punti di vista che, in quanto personali, cioè di vite singole, sono parziali, hanno i loro limiti, le loro caratteristiche, un vissuto concreto che non esaurisce l’intera gamma delle possibilità teoriche.
Se un cristiano cattolico parla di carne con un induista vegano, molto probabilmente non giungerà a un accordo se sia bene o male “in astratto” mangiare carne, però il punto di vista dell’induista potrà contribuire a che il cattolico abbia un’alimentazione più sana, con meno colesterolo, e che in generale sia più facile concedere licenze perché aprano più esercizi vegani o affinché nelle mense aziendali ci sia anche la variante vegana del menù. Se dopo una partita dei mondiali di calcio la squadra del Giappone lascia perfettamente in ordine il proprio spogliatoio – come accadde nei Mondiali 2018 in Russia – così che non ci sia neppure bisogno delle pulizie, quell’ordine, che è uguale per tutti, dice però alle altre nazioni qualcosa che si aggiunge al modo di vedere l’ordine di tutti gli altri.
La convivenza tra fedeli appartenenti a diverse religioni studia gli spazi in cui è possibile che le diversità si intreccino. La dogmatica interna di ogni religione non può essere messa a dialogo (a meno che lo si decida esplicitamente), e neppure è possibile toccare la ortoprassi per così dire “privata”. Quello però che gli appartenenti alle diverse religioni devono fare è essere riflessivi sulle loro relazioni, ovvero cercare esattamente gli spazi dove entrare in dialogo.
Le guerre religiose in Europa sono durate finché cattolici e luterani volevano celebrare lo stesso culto, nelle stesse ore e negli spazi delle stesse chiese. Quando si sono definiti e separati gli spazi, i tempi e le modalità del culto, è stato possibile costruire un nuovo ordine civile. Oggetto del dialogo inter-religioso non è definire se è vero o no che Gesù Cristo è realmente presente nell’eucarestia, ma come avere relazioni tra di noi – cioè tra due o più persone appartenenti a diverse religioni – pur avendo convincimenti diversi rispetto al dogma “interno” o rispetto alla ortoprassi interna.
Essere riflessivi significa non far pesare la dogmatica interna nelle relazioni con gli altri ma decidere che deve essere prevalente lo sforzo per costruire una sfera esistenziale, societaria, comune, in cui ciascuno è sé stesso non appiattendo le proprie differenze ma facendo diventare le differenze una risorsa per creare una sfera comune, un ambito sociale comune in cui vivere. Fino ad oggi quando si parlava di razionalità lo si intendeva come aggettivo che andava accompagnato “allo scopo” o “ai valori”.
Oggi dobbiamo anche pensare alla razionalità “della relazione”: ovvero si tratta di interrogarsi sulle ragioni delle relazioni. Le relazioni fra religioni diverse hanno delle ragioni proprie, cioè le ragioni per cui un musulmano tiene alla relazione con un cristiano probabilmente sono diverse dalle ragioni per cui un cristiano tiene alla relazione con un musulmano, ma, pur essendo ragioni diverse, sono ragioni per una medesima relazione. Questo libro è uno sforzo per dire che occorre prendersi cura di quelle ragioni, delle ragioni delle relazioni, senza toccare la dogmatica interna delle diverse religioni. Ripeto: non si tratta di toccare la dogmatica cattolica, o dell’Islam o degli indù: si tratta di lavorare sulla necessità di spazi nei quali costruire assieme.