Bret Easton Ellis è un ex enfant prodige, autore a vent'anni nel 1985 di un libro diventato di culto, 'Meno di zero', seguito due anni dopo da un altro best seller, 'Le regole dell'attrazione', e sei anni più tardi da un terzo romanzo che ha segnato una generazione anticipando addirittura un'epoca, 'American Psycho'.
Catapultato dopo il successo da Los Angeles a New York, da trent'anni è al centro della vita mondana e a contatto con gli intellettuali e gli artisti più importanti del suo Paese, al centro della vita culturale americana grazie ai suoi articoli, le sue sceneggiature e i suoi libri, omosessuale dichiarato, amato e odiato dalla comunità gay per le sue posizioni spesso indipendenti. Ora Ellis si racconta in un libro, 'Bianco' (Ed. Einaudi), che è una sorta di lunga seduta psicanalitica o, se vogliamo, un diario ragionato ed emozionale in cui lo scrittore, oggi 55enne, dà sfogo al suo narcisismo e alla sua voglia di urlare il suo disgusto per una classe sociale cosiddetta 'di sinistra' che, evidentemente, lo ha esasperato con la pretesa di essere nel giusto e la continua accusa a Donald Trump di essere il male assoluto.
Ellis parla di 'autovittimismo' da parte di persone che non si danno pace del fatto che ci sia Trump alla presidenza e che non accettano che altri lo possano ritenere un buon governante. Oppure, come accade nei confronti dello scrittore dal 2015, che non ammettano che qualcuno possa semplicemente 'non' ritenere Trump un usurpatore e un dittatore.
E proprio la tendenza di Ellis di non criticare a priori il presidente, il suo fastidio nel vedere quella che definisce la Generazione Inetti (i Millennials) disperarsi ancora oggi dopo tre anni, la sua 'eretica' considerazione che una buona metà delle persone che frequenta a Hollywood sia favorevole al miliardario alla Casa Bianca, gli hanno creato nemici e critiche a non finire. A ben guardare, come racconta lo stesso Ellis, è una tendenza, la sua, quella di essere fuori dagli schemi, che lo ha portato a essere accusato in passato dalla potente organizzazione americana Glaad (lega di lesbiche e gay contro la diffamazione) di non avere una vera coscienza perché in più riprese aveva pesantemente criticato come i gay fossero rappresentati sui media tradizionali e a Hollywood.
In 'Bianco' Ellis parla di sé, delle sue passioni cinematografiche e musicali, dei suoi libri e dei film che sono stati realizzati da questi. Parla di attori e personaggi dello 'showbiz' con cui ha lavorato (Kanye West) o che ha intervistato (Quentin Tarantino), di divi maledetti (Charlie Sheen) o di passioni per idoli del cinema che lo hanno segnato per sempre (Richard Gere).
E parla anche di odio. Di crescente intemperanza negli Usa, a Hollywood in particolare, verso coloro che oggi sono indipendenti, provocatori o semplicemente 'scorretti' ma veri e sinceri (almeno così appaiono alla massa).
Ellis in un'analisi originale e interessante parla di post-Impero, il mondo che negli Usa ha sostituito per qualche tempo quello fatto di certezze (Impero) di prima dell'11 settembre 2001 o, meglio ancora, prima della crisi di Wall Street del 2008. Quando le persone si mettevano a nudo, confessando le proprie debolezze e le proprie idiosincrasie senza pensare alle conseguenze e, soprattutto, senza temere reazioni violente nei propri confronti da parte di social network o media. "Si trattò di un breve istante che non arrivò mai a fiorire davvero - scrive Ellis - conobbe un'esistenza fugace e poi, come tutto il resto, venne annacquato e chiuso in una morsa mentre il post-Impero si trasformava nella cultura delle corporation". E sono proprio queste ultime, le 'corporation', corporazioni, gruppi di potere, quelle che secondo lo scrittore californiano oggi dettano le regole di comportamento e che decidono della vita professionale e sociale di tutti a Hollywood. Come per l'autore e regista del film miliardario 'I Guardiani della Galassia', James Gunn, licenziato dalla Disney perché anni prima aveva scritto dei post sui social dai contenuti sgradevoli, sessisti e volgari.
Questa "isteria" moralizzatrice, sottolinea Ellis nella parte finale del suo libro - l'unica in effetti di reale interesse e originalità - è alla base della vittoria di Donald Trump: una reazione alla "cultura tirannica e oppressiva delle corporation". Il personaggio del miliardario che dice sempre quello che pensa e che vuole fare l'America di nuovo grande, non vuole immigrati clandestini, è sessista, razzista e massima espressione del suprematismo bianco è, secondo Ellis, "un presidente del post-Impero, mentre la reazione dei media tradizionali alla sua elezione non è mai stata tanto reazionaria e appartiene all'Impero al massimo della sua fioritura".
Chi è fan e di Bret Easton Ellis amera' 'Bianco', ottimamente tradotto in italiano nell'edizione pubblicata da Einaudi da Giuseppe Culicchia. Gli altri invece troveranno questo diario di viaggio, che parte negli anni Ottanta e arriva al 2018, malgrado sia scritto in maniera fluida e gradevole, non proprio interessante. Troppi racconti personali, troppe recensioni di film, canzoni o serie tv amate o non amate dall'autore, troppo autocompiacimento. Il libro va avanti senza grandi sussulti per una buona metà. Poi Ellis affronta l'argomento Trump e la temperatura sale, così come l'interesse e il piacere della lettura. Senza mai arrivare ad alte vette, ad onor del vero, ma di sicuro dando un senso diverso alla narrazione. Che alla fine concede anche campo all'analisi sociale, spiegando che l'ascesa di Donald Trump è figlia dell'isteria moralizzatrice e politicamente corretta, la caccia alle streghe e il desiderio di trovare il male in ogni discorso non in linea con le linee di condotta delle corporation.