“Se i piccoli non ignorano la dimensione industriale, i grandi non vogliono rinunciare al tratto artigianale che appartiene alla tradizione. E che rimane una peculiarità anche dei piccoli diventati medio-grandi. Il coraggio è una buona carta, che può distruggere e può salvare”. È un passaggio della recensione di Paolo Di Stefano a Risvolti di copertina, il libro scritto per Laterza da Cristina Taglietti, redattrice culturale del Corriere della Sera, sulla storia di quattordici case editrici italiane, un viaggio tra piccole, grandi e medie che si può leggere sull’edizione del primo maggio del quotidiano di via Solferino.
Case, appunto. Luoghi fisici ma anche famigliari. Dai molti intrecci. Sodalizi intellettuali e spazi di condivisione multipla, dell’amicizia, del lavoro, della convivialità, della solidarietà umana. Sono le fucine da cui prendono vita i libri e le storie che contengono e narrano per poi spargersi nel mondo, tra Saloni e Buchmesse, e quindi raggiungere le librerie e arrivare infine in mano ai lettori. Filiere produttive dove si scoprono gli autori, dove nascono, crescono e si lanciano nel firmamento di una editoria ormai globalizzata. Luoghi “del lavoro culturale”.
“Quattordici case editrici, dove ‘case’ è la parola chiave. Si parte sempre dai quartieri, dalle vie, dalle porte, dai muri, dalle insegne, dalle stanze, dai tavoli, dalle scrivanie, dalla materialità delle composizioni e delle strutture. Ed è un modo insolito di partire, quando si parla di editoria, un modo affascinante e sensuale” scrive Di Stefano. Che aggiunge: “Ci vorrebbero anche gli odori dei libri, ma già avere il colore delle pareti, i quadri, l’arredamento è disporsi in una prospettiva nuova rispetto alle abituali panoramiche storico-culturali”.
“Soprattutto c’è l’organizzazione della quotidianità” si legge. “E nella quotidianità non ci sono soltanto gli editori e i direttori editoriali, ci sono nomi non carismatici, invisibili faticatori del libro. Alla Sellerio non ci sono solo Antonio e Olivia, gli eredi di Elvira e di Enzo, c’è il quasi novantenne Beppe Ajello che ‘sembra il personaggio di un romanzo’, il quale condivide con Delia Poerio la stanza dove passano tutti i manoscritti in arrivo. Circa tremila l’anno, tanti dei quali sono invii indistinti che probabilmente vengono mandati anche ad altri editori: il modo più sicuro per farsi bocciare”.
Quel che colpisce nella radiografia e nella geografia di queste 14 tappe “che riflette, più o meno, la densità editoriale italiana”, “e di cui sono consapevoli per primi gli editori – scrive Di Stefano - è la ‘non pianificabilità’ dei successi. Se chiedete a un addetto ai lavori quanti titoli, a parte (ma non sempre) i bestseller internazionali annunciati, hanno ottenuto i risultati previsti, vi sentirete rispondere con una percentuale minima. Ciò che conta è il lavoro serio, la visione, quella che Ernesto Franco, direttore generale dell’Einaudi, chiama felicemente ‘l’intenzione’, è fondamentale, così come la coerenza nel portare avanti un’idea (e un autore). Il marketing aiuta, ma non è mai determinante in partenza. E l’arroganza non è indispensabile, visto che la volontà di concentrazione ha finito per produrre un quadro più differenziato di prima e considerando che anche i piccoli, negli ultimi tempi, hanno avuto soddisfazioni da classifica”. Il caso de L’amica geniale di Elena Ferrante, diventato un caso editoriale mondiale, e della piccola e/o che l’ha lanciata, è al tempo stesso anche un caso di scuola illuminante in questo senso.. Frutto di “versatilità, eclettismo” editoriale.
E in base a questo andamento ed esperienza la riflessione editoriale che scaturisce è che “è sulla diversità che bisogna puntare, non sull’omologazione”. Tra il piacere di (continuare a) essere artigianali ma al tempo stesso anche determinati a raggiungere un pubblico più ampio. Tra rifiuto della managerialità e ricerca dell’affermazione con le proprie forze. In primis, la forza delle idee, della proposta, della ricerca culturale. Un lavoro che resta, in fondo, bohémien.