H ollywood, negli ultimi anni, li ha mostrati più volte; gli Assassini ed il castello di Alamut appaiono sia nel film di fantasia “Prince of Persia, le sabbie del Tempo” e pure nella ricostruzione storica sulla vita di Avicenna nel film “Medicus”. Per raggiungere Alamut (in persiano “Nido dell’Aquila”), basta partire da Teheran la mattina presto e dopo 150 km verso nord-ovest, si raggiunge un punto dell’autostrada che dista solo 10 km da Qazvin città. Lì bisogna seguire il cartello e girare a destra in direzione delle montagne; sono solo 140 km ma sono passi di montagna difficilissimi, 4 ore per questo ultimo pezzo del tragitto.
Il culto esoterico degli ismaeliti
Dopo il villaggio di Moallem Kalayè un cartello annuncia l’ingresso nella valle degli “Assassini”. La parola è la versione latinizzata di Hashishiyun o fumatori di Hashish. Gli Ismailiti, nacquero nel nono secolo dopo Cristo proprio in Persia, in seno al mondo sciita, e credono in 7 sacri discendenti di Maometto anziché 12 (come la maggior parte degli sciiti). La loro era una vera e proprio religione esoterica, e il loro più famoso leader spiritual persiano, Hassan Sabbah (Qom 1034 circa – Alamut, 1124) era di fatto un eremita che combatteva contro il governo sunnita Selgiuchide, al potere in Persia nell’11esimo secolo. L’Agha Khan tanto famoso oggi, capo degli ismailiti indiani, è della stessa confessione di Sabbah, ovvero quella degli ismailiti nizariti (in origine tutti persiani).
La setta del vecchio della montagna (Hassan Sabbah) condusse una battaglia incredibile contro i Selgiuchidi. I suoi uomini, che si narra fossero sempre sotto l’effetto dell’Hashish prima di compiere le loro imprese, assassinarono il vizir persiano selgiuchide Nizam ol Molk, il re Maliksha, incendiarono la moschea del venerdi di Isfahan; dopo ogni operazione si ritiravano proprio in questa valle, dove avevano la bellezza di 23 fortezze; Alamut era la più irragiungibile, perché per tutti e 4 i lati, come è ben visibile ancora oggi, si affaccia su dei profondissimi burroni.
La salita al Nido dell'Aquila
Arrivati ad Alamut, si paga un biglietto di 150.000 Rials (al cambio di oggi sono poco più di 2 euro) e si inizia una salita con dei gradini che sembrano interminabili. Qui ci sono più stranieri che iraniani ed è frequente vederne qualcuno accasciato qua e la, stremato dai 300 gradini di pietra che conducono “al nido dell’aquila”. Accanto ad un’irta parete, quella sud-orientale del castello, si sviluppa la scalinata che conduce alla porta d’ingresso, dove da mille anni fa è ancora rimasta incisa la parola Allah. L’interno del castello stona decisamente con la versione di Marco Polo, che racconta di Alamut come di un luogo dove gli Assassini si accoppiavano con giovani fanciulle in splendidi giardini, sotto l’effetto dell’Hashish. È probabile che queste storie fossero state create dai Selgiuchidi per infangare il volto di questi “templari” del mondo sciita, che conducevano invece una vita da osservanti. Anche oggi i rivoluzionari dello Yemen, ismailiti anche loro, sono accusati da buona parte della comunità internazionale di essere ribelli e/o terroristi.
All’interno del castello si scorgono ruderi di saloni, s’intravede ciò che rimane di un mihrab, dove gli ismailiti pregavano, una stalla e soprattutto il pozzo d’acqua della fortezza. Un pozzo realizzato sulla “vena” di una sorgente sotterranea, che proviene da una delle montagne circostanti, che anche in primavera rimangono innevate. Più si prende acqua da questo pozzo, più esso si riempie di acqua; era proprio questa sorgente che permetteva di resistere tantissimo.
La presenza dei turisti catapulta in continuazione l’attenzione verso l’attualità. Il ritiro di Donald Trump dall’accordo nucleare è recente, e nella fortezza un gruppo di 30 pensionati francesi, 2 ragazze spagnole, 3 ragazze slovene e una coppia di olandesi, hanno tutti la stessa cosa da dire: i media occidentali mostrano un volto imbruttito dell’Iran, un paese meraviglioso e tranquillo. L’altra cosa che affermano all’unanimità è che Donald Trump non rappresenta l’Occidente e che per loro l’Iran, è un paese che vorrebbero vedere alleato.
Un'eredità raccolta dai ribelli houthi
La valle è verdeggiante e incantevole e tutti si fermano qui a riflettere un po’; gli ismailiti, in questo luogo, vennero stroncati dopo 17 anni di resistenza, solo dal condottiero mongolo Holagu Khan. Se questa fu la loro fine qui, non bisogna dimenticare che i loro correligionari, diedero vita in Egitto alla dinastia reale dei Fatimidi, ed ebbero un ruolo fortissimo soprattutto nelle Crociate. La confessione ismailita oltre al Libano (i drusi discendono da loro), la Siria, e il Pakistan, si è diffusa anche in Yemen, e lì oggi forma il principale partito rivoluzionario, quello di Ansarullah, formato dalla popolazione di etnia Houthi.
Dal 26 marzo 2015, gli houthi come il resto degli yemeniti, ribellatisi al governo sunnita e filo-saudita del presidente Mansour Hadi, sono sotto i bombardamenti di Riyadh, che può contare su armi modernissime fornite un po’ da tutto l’Occidente. L’esito è un bilancio pesantissimo: oltre 10 mila morti, decine di migliaia di feriti, 1 milione di contagiati dal colera, 15 milioni di persone che hanno bisogno di aiuti umanitari per sopravvivere. Una guerra inutile, probabilmente, perché quegli ismailiti che resisterrero ai crociati, ai selgiuchidi ed ai mongoli, difficilmente si arrenderanno, anche avendo di fronte la macchina da guerra dei sauditi ed anche se non sono più sotto l’effetto dell’hashish.
Negli ultimi mesi, infatti, hanno sviluppato sempre più missili a corto raggio, che hanno colpito basi militari saudite e una volta persino la capitale Riyadh. L’Arabia Saudita e gli Stati Uniti accusano l’Iran di armarli; passare armi a loro è fisicamente impossibile per via dell’embargo aereo e terrestre che impedisce persino il passaggio di aiuti umanitari a sufficienza, ma è possibile che l’Iran abbia passato loro il know-how per realizzare missili. La valle degli Assassini, Alamut, i loro castelli, sono una fetta importante di storia persiana che potrebbe rivivere, un domani, con la formazione di un governo sciita in Yemen.