E rano giorni terribili quelli. I 55 giorni che vanno dal sequestro di Aldo Moro al ritrovamento del suo corpo: giorni in cui un Paese attonito si interrogava su fino a che punto si sarebbe spinta la barbarie terrorista.
Giorni in cui era difficile nascondere ai bambini la tensione che attraversava il Paese, che entrava nelle case attraverso i tg, le facce scure dei conduttori durante la lettura dei complessi comunicati delle Brigate Rosse.
Dal 7 febbraio, poco dopo pranzo, su Rai1 andava in onda Heidi e il secondo canale della Rai aveva bisogno di qualcosa che lo distinguesse e spianasse la strada al Tg2 della sera. E forse anche che servisse a distrarre i più piccoli.
Così il 4 aprile 1978, mentre le Br tentavano una rivoluzione che sarebbe fallita, sul piccolo schermo nelle case italiane ne andava in onda una destinata a cambiare per sempre le abitudini e la cultura. Alle 19 viene trasmessa la prima puntata di un’innovativa serie animata giapponese che in Italia viene intitolata Atlas Ufo Robot ma che per tutti diventa immediatamente Goldrake dal nome del suo protagonista, uno straordinario e portentoso robot che difende il pianeta Terra a colpi di maglio perforante e alabarda spaziale dai malvagi alieni venuti da Vega.
La Ufo rivoluzione
Per i bambini di allora è amore a prima vista e per i palinsesti televisivi è una rivoluzione. Di lì a qualche mese, complici anche i cambiamenti legislativi in materia di trasmissioni via etere, in tutta Italia è un proliferare di emittenti private che per riempire il maggior numero possibile di ore di programmazione si rivolgono al mercato giapponese acquistando decine e decine di cartoni animati. Sulla scia di Goldrake arrivano così numerosi altri robot ed eroi spaziali che fanno da apripista a una vera e propria invasione dei teleschermi.
"Goldrake però è il primo, il più amato, il più imitato" dice all'Agi Massimo Nicora, autore di 'C’era una volta Goldrake' (Società Editrice La Torre, 664 pp., 24,50 euro) "Entra prepotentemente nella case dei bambini italiani ammaliandoli con le sue avventure, i suoi protagonisti, i suoi colori sfavillanti per chi ha la fortuna di possedere già una televisione a colori. Nei salotti i bambini discutono animatamente con i loro genitori per non perdersi una puntata del loro robot preferito, i negozi vengono invasi da giocattoli con la sua effige, a scuola diventa l’argomento preferito (se non l’unico) di disegni e componimenti. Anche i giochi cambiano. I cowboy e gli indiani cedono il passo al nuovo eroe della fantascienza e il linguaggio stesso dei bambini si arricchisce di neologismi ed espressioni mutuati direttamente dal cartone animato".
"È in atto una vera e propria trasformazione che all’inizio desta sorpresa, incuriosisce, ma che in un secondo momento suscita preoccupazione in genitori, insegnanti, psicologi e addirittura politici. Goldrake diventa così il bersaglio preferito di ogni tipo di critica. Contro di esso si scagliano anatemi, si invoca un’azione censoria da parte della Commissione di Vigilanza della rai, nascono vere e proprie crociate e sui quotidiani è un profluvio di articoli, lettere, commenti, editoriali ed elzeviri" continua Nicora che nel suo libro ricostruisce la storia di Goldrake intraprendendo un lungo viaggio che dagli Stati Uniti porta in Giappone, e da qui in Francia e poi in Italia, approfondendo aspetti poco noti se non addirittura ignorati per restituire un quadro il più possibile esaustivo delle vicende che hanno portato alla nascita e alla diffusione di questa serie animata, nonché analizzare il contraccolpo culturale e sociale causato dalla sua trasmissione.
Il lungo viaggio di Goldrake
Il viaggio inizia negli Stati Uniti degli anni Cinquanta. Siamo nell’epoca d’oro dei film di fantascienza che si alimentano delle suggestioni della Guerra Fredda e che sono caratterizzati da due elementi fondamentali, alieni e ufo, che avranno una profonda influenza sulle successive produzioni giapponesi riconducibili a quella che viene comunemente definita space opera. Una miscela di idee in parte mutuate dalle pellicole americane e in parte originali che a loro volta rappresentano l’humus di cui si alimentano le produzioni robotiche firmate da Gō Nagai, il creatore di Mazinger z (che in Italia diventerà Mazinga z, 1972), Great Mazinger (Il Grande Mazinger, 1974) e ufo Robot Grendizer (Atlas Ufo Robot, 1975).
Il boom degli ufo nel Giappone degli anni Settanta rappresenta la spinta, la molla per creare una nuova serie animata il cui protagonista e i cui avversari fossero gli Ufo Robot. Prima di arrivare a ufo Robot Grendizer, però, il percorso è stato lungo e articolato. Dalla creazione di un film cinematografico da cui la serie trae ispirazione, fino alla definizione di tutti i personaggi, Nagai è riuscito a creare un prodotto atipico in cui alla classica battaglia tra robot giganti si affiancano toni da tragedia shakespeariana, introspezione, psicologia dei personaggi.
Dalla Francia, dove ufo Robot Grendizer diventa Goldorak e conquista milioni di bambini francesi e destando la perplessità degli adulti che si trovano a fronteggiare quella che viene definita, in maniera appropriata, la 'folie Goldorak'.
Dalla Francia all’Italia, passando per l’anonimo padiglione di una mostra dedicata a film e a telefilm presso la Fiera di Milano, Goldorak si trasforma in Goldrake e la serie assume il titolo di Atlas Ufo Robot. Merito dell’intuito di una funzionaria rai, Nicoletta Artom, che resta così affascinata da questo cartone animato da proporlo per l’acquisto ai suoi dirigenti.
Da allora è storia: la caparbietà dell’allora direttore di Rete Due, Massimo Fichera, che osa superare i rigidi schemi imposti della televisione pubblica italiana, le reazioni di genitori, giornalisti, psicologi, pedagogisti, insegnanti e politici di fronte a una serie animata considerata pericolosa e violenta e le prese di posizioni di personaggi del calibro di LucaGoldoni, Alberto Bevilacqua, Dario Fo in un susseguirsi di pro e contro che alimenta un dibattito che dura diversi anni e il cui apice è rappresentato dalla cosiddetta Crociata di Imola contro i cartoni animati giapponesi che porta alla ribalta mediatica una querelle che infiamma le pagine dei giornali fino ad approdare in televisione nella trasmissione L’altra campana (1980) di Enzo Tortora.