I mmaginate un buon Wiskey, distillato con cura, affinato e lasciato invecchiare senza fretta per decenni. Ora paragonatelo a una lattina di Coca-Cola. Il primo si gusta con calma, nell’atmosfera giusta, con le persone giuste. La seconda si stappa in fretta e si beve in pochi sorsi. Il primo scorre come un velluto e lascia una sensazione che dura a lungo, l’altra solletica la gola e si dimentica in fretta. Ecco: la differenza che passa tra i Mavit e una rock-band post-adolescenziale è quella che può correre tra un whiskey da meditazione e una bottiglietta di Cola. Ma è pur sempre rock, duro e puro: entusiasmante e travolgente. Una band che ha atteso quindici anni prima di rivelarsi al pubblico con un singolo ‘Manie Animali’ che ha le carte in regola per diventare una hit.
“Mavit è un progetto che viene da lontano” dice Manlio Abati, chitarrista “iniziato nel 2001 e maturato prima in un concept album – ‘Il morso del peccato’ – uscito nel 2014 poi nel singolo ‘Manie Animali’ scelto tra una quarantina di brani per lanciare la band verso il grande pubblico”
Prodotto dall’italo-inglese Pino Toma, mixato da Chris Potter (Verve e U2) nei Sugar Cane Studios di Londra, il singolo ha un approccio più pop rispetto al ‘Morso’ e ammorbidisce i toni hard rock della band con l’obiettivo dichiarato di approdare a un’audience non solo di nicchia. “Ho sempre pensato che ogni brano, ogni riff di chitarra debbano suonare come ‘cantabili’ nelle orecchie di chi ascolta” dice Abati, che ha alle spalle una ricca esperienza di chitarrista live e in studio con alcuni dei nomi più importanti del rock e del pop italiano degli anni ’70 e ’80, ‘sospesa’ per dedicarsi alla professione di avvocato. E questa è un’altra caratteristica peculiare dei Mavit: tutti artisti di talento ed esperienza, ma anche professionisti di successo. Un mix straordinario di competenza artistica e passione che non è stato viziato dalla frustrazione dell’attesa della hit, ma ha maturato una consapevolezza che esplode – letteralmente – nel singolo ‘Manie Animali’. Riff orecchiabili, un potente ritmo tribale, chitarre pulite e precise accompagnano un testo compiuto, vicino (ma Abati assicura che è un caso) alla cronaca più recente. Una band, insomma, che ha un ‘senso’ costruito in anni di affinamento e non a tavolino nella sala riunioni di una casa discografica. Ora il terzetto che costituisce il fulcro dei Mavit – oltre ad Abati, Vittorio Angioni alla voce e al basso e Walter Garzella alla batteria – prepara già il secondo singolo (la cui uscita è prevista per fine anno) e un tour nei festival. Ma con cura e dedizione. Proprio come si prepara un buon whiskey. (AGI)