D al 1851 il New York Times ha pubblicato migliaia e migliaia di necrologi di maschi, bianchi. Capi di stato, cantanti, inventori. Persino negli ultimi due anni solo un quinto degli annunci di persone scomparse riguardano le donne. E così, in una sorta di mea culpa, il quotidiano di New York ha cercato di ‘rimediare’ pubblicando 15 necrologi di donne speciali, scrittrici come Charlotte Bronte o giornaliste d’inchiesta come Ida B. Wells. Alcuni riguardano personaggi a noi noti, altri meno. Ma queste donne vale la pena conoscerle tutte. Eccole qui di seguito.
Ida B. Wells (1862-1931)
Era il 1892 quando una folla trascinò Thomas Moss fuori da una prigione di Memphis in pigiama e lo uccise in seguito a una faida che era iniziata con una partita di biglie. A quel tempo non era una cosa inusuale e il suo linciaggio sarebbe forse passato inosservato se non fosse stato per Ida B. Wells, giornalista d’inchiesta afroamericana e madrina del suo primo figlio. Nel suo lavoro di giornalismo investigativo Ida si concentrò sulle giustificazioni date per i linciaggi, il che avviò ufficialmente le sua campagna anti-linciaggio. Parlò della questione in varie associazioni di donne nere e riuscì a raccogliere più di 500 dollari per continuare ad indagare e far pubblicare i risultati. Ida scoprì così che i neri venivano linciati per motivi di controllo sociale, per non aver pagato debiti, per aver voluto essere uguali ai bianchi, per aver intrapreso competizioni economiche con loro o infine per essersi presentati ubriachi in pubblico. Ma non per gli stupri commessi da uomini di colore nei confronti di donne bianche, la più comune delle accuse. Pubblicò le proprie scoperte in un pamphlet intitolato “Southern Horrors: Lynch Law in All Its Phase". Per tutta la vita Ida B. Wells diede voce ai neri del profondo Sud denunciando soprusi e ingiustizie. Fino a quando morì all’età d 68 anni per una malattia renale.
Qiu Jin (1875-1907)
Poeta, femminista e rivoluzionaria, Qui Jin è la “Giovanna d’Arco” della Cina. Nata in un tempo e una società che relegava le donne in casa, Jin mostrò sin da giovanissime altre aspirazioni: scriveva poesie, aveva studiato le arti marziali al punto che la sua eroina era Hua Mulan - proprio quella Mulan - e sognava di vedere il suo nome impresso nei libri di storia. Ma soprattutto desiderava liberare le donne cinesi dal quella cultura confuciana che le voleva dipendente dal padre e poi dal marito, che le costringeva alla pratica della fasciatura dei piedi sin da neonate, provocando danni irreversibili e problemi di deambulazione a vita. Un’emancipazione quella invocata da Qu Jin che passava attraverso l’abbandono della casa paterna e la scelta di studiare all’estero. Il corpus delle sue opere consta di qua 250 poesie e Qiu Jin ha dedicato tutta la sua vita alla scrittura e alle cause in cui credeva. Come quella rivoluzionaria che il 15 luglio 1907 la portò alla morte: direttrice di una scuola n cui venivano addestrati i militari rivoluzionari, Jin fu decapitata a 31 anni dalle forze armate imperiali che l'accusarono di cospirazione per rovesciare il governo Qing guidato da Manchu.
Mary Ewing Outerbridge (1852-1966)
Se gli americani oggi giocano a tennis il merito è soprattutto di Mary Ewing Outerbridge. È lei che introdusse questo sport negli Usa negli anni ’70 del XIX secolo, portando con sé “strani oggetti” - come furono giudicati alla dogana - da un viaggio in Europa. Una rete, qualche pallina e le racchette bastarono a destare il sospetto e solo l’intervento del fratello della Outerbridge, che ricopriva una posizione di rilievo nelle spedizioni, rese possibile l’ingresso degli “strani oggetti” in Usa. Nel 1874 la Outerbridge inaugurò il primo campo da tennis su suolo americano allo Staten Island Cricket and Baseball Club di St. George.
Diane Arbus (1923-1971)
È la fotografa della diversità. I suoi scatti ritraggono gli esseri umani nella loro diversità, nello scostarsi dalla "normalità" data per scontata, una normalità a volte messa in discussione dalla stessa natura, a volte da scelte personali. Tra i soggetti più ricorrenti ci sono acrobati del circo, transessuali, persone con disturbi mentali, prostitute e - nell’ultimo periodo della sua attività - anche clienti di bordelli sadomaso. Per questo motivo i suoi lavori sono oggetto di un dibattito che dura tutt’oggi. Non si tratta, però, di una sorta di voyerismo della diversità, è lo spettatore spesso a sentire in imbarazzo, spiazzato e violato nell’intimità. Arbus, affetta da una grave forma di depressione, si tolse la vita il 26 luglio del 1971 ingerendo una dose letale d barbiturici.
Marsha P. Johnson (1945-1992)
Attivista, prostituta, drag queen, Marsha P. Johnson fu stata una presenza fissa del Greenwich Village di New York e una figura centrale nel movimento di liberalizzazione gay oggetto di un raid della polizia nel 1969. Marsha, che ispirò Andy Wharol, dovette combattere contro diverse malattie mentali. Morì a 46 anni nell’estate del 1992 in circostanze non chiare. La sua dipartita non ebbe molta risonanza al momento e fu solo negli anni seguenti che si assistette a una sorta di riabilitazione collettiva. Fu slogata in particolare per per le sue insistenti domande di giustizia sociale ed economica; per l’essere schierata al fianco dei giovani senzatetto gay ostracizzati dalle loro famiglie per essere gay, e per la sua vicinanza nei confronti dei malati di AIDS.
Sylvia Plath (1932-1963)
È la poetessa che non ha ma avuto paura di confrontarsi con la sua disperazione. Nata a Boston da genitori tedeschi, per tutta la sua vita Sylvia Plath si è divisa tra la scrittura e la depressione. Da giovanissima venne salvata da un primo tentato di suicidio a seguito del quale le fu diagnosticato un disturbo bipolare. Dimessa dall’ospedale psichiatrico, la Plath si laureò con lode e ottenne una borsa di studio a Cambridge. Qui conobbe il poeta inglese Ted Hughes che sposò e con il quale ebbe due figli. Nel frattempo la produzione di Sylvia si arricchiva sempre di più al punto che oggi è considerata la maggiore esponente della poesia confessionale. Presto però il matrimonio naufragò e la poetessa si trasferì in un appartamento d Londra con i suoi due figli, ma restò legata al marito da un amore malato. L’11 febbraio del 1963, appena un mese dopo il suo romanzo autobiografico “La campana di vetro”, Sylvia Plath si tolse la vita. Sigillò la porta, coprì le finestre con dei vestiti, preparò pane e burro e due tazze di latte per l’indomani per i suoi figli. Poi accese il forno a gas e vi inserì la testa dentro. Aveva 30 anni.
Henrietta Lacks (1920-1951)
Henretta Lacks morì di tumore all’utero a soli 31 anni, ma a farla passare alla storia della medicina furono due cose. La prima: le sue cellule tumorali furono prelevate dalla sua cervice e vendute senza la sua autorizzazione e senza alcun compenso. Una mossa che ha generato un dibatto etico che dura tutt’oggi. La seconda, dall’osservazione delle cellule gli studiosi si trovarono di fronte a un fatto ma visto prima : le cellule di Henrietta riproducevano un’intera generazione in sole 24 ore. Non invecchiavano mai, e per questo motivo possono essere trasmesse in vitro senza morire. Tali cellule, commercializzate con il nome di HeLa, sono tutt’oggi una delle più importanti e rivoluzionare scoperte della medicina genetica.
Madhubala (1933-1969)
Forse in pochi la conoscono in Italia ma Madhubala è stata una star di Bollywood il cui destino ricorda molto quella di Marilyn Monroe. Con la diva di Hollywood condivideva il glamour, il fascino, la popolarità, ma anche la tristezza e una morte prematura. Nel cinema dall’età di 9 anni, Madhubala conobbe la fama a a soli 16 anni, quando il film “Mahal” la decretò star nazionale. Ma per tutta la sua breve vita fu apprezzata più per la sua bellezza che per il suo talento. S innamorò - corrisposta - di Dimil Kumar, un collega, ma prima del matrimonio il padre di Madhubala, che era anche produttore, fissò delle regole, tra cui l’obbligo per i due di lavorare insieme. Kumar non fu d’accordo. La donna si ritrovò così a dover scegliere tra la famiglia e l’amore, scelse la prima con dolore. Morì a 36 anni stroncata da un problema cardiaco con cui era nata a con cui aveva dovuto fare i conti per tutta la vita.
Emily Warren Roebling (1843-1903)
Se vi capita di passeggiare sul ponte di Brooklyn pensate a Emily Warren Roebling perché è anche grazie a lei se potete farlo. Il suo merito è, infatti, quello di aver supervisionato i lavori quando suo marito, l’ingegnere capo Washington A. Roebling, si ammalò. Si occupò delle forniture dei materiali, dei contratti, della gestione del lavoro ordinario. Nella fase finale suo marito osservava il tutto dalla camera della loro casa d Brooklyn Heights attraverso un binocolo. Alla fine a Emily spettò l’onore di attraversare per prima il ponte che collega Brooklyn a Manhattan, una passeggiata durante la quale si fece ‘accompagnare’ da un gallo.
Nella Larsen (1891-1964)
Quando Nella Larsen morì stroncata da un infarto lasciò davvero poco: un appartamento al pianterreno, due romanzi all’atto, qualche racconto breve e alcune lettere. Non aveva figli, era divorata e aveva rotto da tempo rapporto con la sua sorellastra. Perché allora inserirla tra le 15 donne straordinarie? Statunitense di nascita, danese per parte di madre e indiana per parte del padre, Nella Larsen è considerata una delle maggiori esponenti dell’Harlem Reinassence, movimento afroamericano artistico-culturale nato intorno agli anni ’20. Divenne famosa per gli unici due romanzi che diede alle stampe: “Sabbie mobili” del 1928 e “Passing” del 1929.
Ada Lovelace (1815-1852)
Ada Lovelace è considerata la prima programmatrice di computer. In un epoca in cui il computer ancora non esisteva. Talentuosa matematica britannica, ad Ada si deve gran parte del lavoro per la costruzione della macchina analitica di Charles Babbage. Tra i suoi appunti c’è anche un algoritmo per generare i numeri di Bernoulli, considerato il primo algoritmo inteso per essere elaborato da una macchina. In un articolo del 1843, inoltre, la Lovelace immaginava uno strumento programmabile e prefigurava il concetto di intelligenza artificiale. Il computer di Babbage non fu ma costrutto ma per questi motivo la Lovelace, morta a soli 36 anni per un cancro all’utero, è considerata la prima programmatrice in assoluto.
Margaret Abbott (1878-1955)
Fu la prima americana a vincere una gara olimpica ma morì senza saperlo. La Abbott partecipò a una competizione di golf che si tenne a Parigi nel 1900. In quello stesso anno la capitale francese ospitava l’Esposizione Universale e nelle attività legate a pochi regnò la confusione più totale. L’americana mise a segno la vittoria, ma solo le ricerche storiche degli anni ’90 hanno permesso di ricostruire la storia delle Olimpiadi e di capire che quella gara fece parte delle gare. Lei, la Abbott, andò avanti con la sua vita, si sposò, ebbe un figlio e morì nel 1955 senza mai sapere aver vinto un titolo olimpionico.
Charlotte Bronte (1816-1855)
L’autrice di “Jane Eyre” è la maggiore delle sorelle Bronte, tutte e tre scrittrici. Charlotte era una maestra di 20 anni quando inviò alcuni dei suoi lavori allo scrittore inglese Robert Southey che riconobbe il suo talento ma le consigliò di rinunciare perché “la letteratura non è una cosa per donne”. Ci provò con Hartley Coleridge, questa volta senza fare rifermento al genere. Fu solo nel 1847 che diede alle stampe il suo capolavoro “Jane Eyre”, le sue due sorelle moriranno poco dopo. Charlotte per tutta la vita dovette fare i conti col dolore: “Ho vissuto due vite: quella letteraria e quella reale”, dirà in seguito. Nel 1854 sposò Arthur Bell Nicholls, un pastore anglicano che lavorava con suo padre. Ma la felicità dura poco: nel marzo del 1855 nove mesi dopo il matrimonio morì incinta del suo primo figlio. Indebolita dalle nausee mattutine si era denutrita e disidratata fino ad esalare l’ultimo respiro.
Lilias Campbell Davidson (1853-1934)
Lilias Campbell Davidson era una scrittrice inglese che ha dedicato la sua vita a spronare le donne a spostarsi da sole. A piedi, in treno. A intraprendere lunghe passeggiate in montagna. ma soprattutto a salire in sella a una bicicletta. Lei stessa aveva iniziato a pedalare agli inizi del 1880 all’età di 20 anni. A quel tempo era considerato inappropriato per una donna.Ma lei se ne infischiò. Lo faceva al mattino presto o alla sera tardi, quando le strade erano poco frequentate. Ma non volle nascondersi a lungo. E non lo fece. Nel 1892 fondò l’Associazione ciclistica per signore. E 4 anni dopo pubblicò un “manuale per le donne cicliste”.
Belkis Ayon (1967-1999)
Belkis Ayon è una delle artiste più libere di Cuba. Per il New York Times la sua grandezza sta nell’essersi ispirata per gran parte de suoi lavori a una società in cui solo gli uomini era ben accetti: la religione Abuka. La sua arte rappresenta proprio l’assenza di donne nella religione. E sebbene queste non sono autorizzate a partecipare alla vita in società, Ayon riuscì a essere sempre presente. Ne era ossessionata, incuriosita, nulla la affascinava di più della psicologia e dell’umanità che vi si celava dietro. Molto apprezzata all’estero, invitata agli eventi artistici più importanti, Belkis sembrava un’artista completa e appagata. Nessuno della sua famiglia sa spiegare perché a 32 l’artista abbia deciso di porre fine alla sua vita.