I testi sacri sono come una letteratura fantastica. Partendo da questa frase di Jorge Luis Borges, Corrado Augias porta i suoi lettori in un viaggio colto e approfondito nella storia di Cristo. Lo fa nel suo ultimo libro, ‘Il grande romanzo dei Vangeli’ (Edizioni Einaudi), in cui nella formula ormai consueta di intervista a un illustre storico, Giovanni Filoramo, professore emerito di Storia del cristianesimo presso l’università di Torino, prende per mano il lettore e con garbo pone domande difficili e delicate realizzando un’opera divulgativa generosa e di piacevole lettura. E lo fa, come scrive alla fine del libro, in quanto ateo “convinto che ricostruire l’aspetto letterario dell’insegnamento cristiano sia ancora una risorsa per il mondo smarrito nel quale viviamo”, augurandosi che “il nostro racconto possa avere senso in una società che in Occidente si è così largamente secolarizzata e lo ha fatto nel modo peggiore, mettendo da parte vecchie superstizioni per sostituirle spesso con altre più scadenti”.
Origine dei Vangeli
Augias, cosciente di camminare su un terreno scivoloso, quello costituito dal rapporto spesso conflittuale tra ragione e fede, tra scienza e metafisica, ripercorre la storia di Cristo attraverso i Vangeli, spiegando con l’ausilio del suo dotto interlocutore quali siano le evidenze storiche da cui partire. Racconta le gesta di Gesù spiegando per prima cosa l’origine storica dei quattro Vangeli, che nel 180 il vescovo Ireneo di Lione ha stabilito che fossero gli unici autentici (ce n’erano moltissimi altri che oggi sono noti come ‘Vangeli apocrifi’, ossia non autentici).
Il più antico è quello di Marco e risale a poco dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme da parte di Tito (70 d.C.), poi a distanza di 10 e vent’anni circa sono stati scritti quello di Matteo e quello di Luca. Questi tre sono chiamati ‘sinottici’ per la loro ‘comune visione’ nel raccontare la stessa storia e gli stessi avvenimenti (quelli di Matteo e Luca sono stati sicuramente influenzati da Marco). In ultimo, al quale Augias dedica un capitolo a parte, c’è il Vangelo di Giovanni, databile tra il I e II secolo dopo Cristo, il più originale, dove nella figura di Cristo prevale, rispetto agli altri tre, l’aspetto divino. Un Vangelo che ha molti aspetti legati alla filosofia degli gnostici (in cui il mondo reale, terreno, è secondario rispetto al divino) che all’inizio non ha goduto di grande popolarità.
Il romanzo di Gesù
Partendo dall’analisi storica dei Vangeli, dalla considerazione che gli autori dei testi non sono quelli che convenzionalmente si chiamiamo Marco, Matteo, Luca e Giovanni (anche se su quest’ultimo, probabilmente autore anche dell’Apocalisse, la questione è più complessa), Augias e Filoramo, in una narrazione scandita ritmicamente da domande e risposte, con alcuni momenti in cui Augias racconta in maniera più ampia episodi o situazioni che vuole approfondire, scrivono il 'romanzo di Gesù'. In maniera semplice ma dotta, evitando di entrare troppo nel dettaglio storiografico, ma pur sempre citando gli autori di riferimento, contemporanei di Gesù, che aiutano a inquadrare il periodo storico e i personaggi: su tutti Giuseppe Flavio (nato Yosef ben Matityahu, ex ufficiale dell’esercito giudaico poi affiliato alla dinastia dei Flavi che scrive a Roma e per i romani).
Quello di Augias è un racconto per episodi, dove i vari personaggi sono visti nella loro complessità: dalle testimonianze storiche alla credibilità, dalla psicologia all’importanza narrativa, fino alla loro influenza nella religione cristiana. Un lavoro accurato che analizza personaggi storici come Giovanni battista, Erode Antipa (e suo padre Erode il grande), Ponzio Pilato e Caifa, l’apostolo Pietro, San Paolo e Giacomo il fratello di Cristo. Ma anche personaggi di cui non si ha conferma dell’esistenza come Giuda, Maddalena, Barabba (il cui vero nome è Gesù) o il centurione Longino.
I quattro dogmi di Maria
Nel racconto di Augias tra i vari protagonisti del 'romanzo' ce ne sono tre che per diversi motivi assumono un'importanza particolare: Maria, Giuseppe e il "fratello" Giacomo. La madre di Gesù, per la quale la Chiesa ha proclamato ben 4 dogmi (perpetuo stato verginale, stabilito nel concilio di Costantinopoli del 381; madre di Dio e non solo del figlio di Dio – Gesù è consustanziale al padre, della stesa sostanza di Dio - stabilito nel concilio di Efeso del 431; nata senza peccato originale o ‘immacolata concezione’, stabilito da papa Pio IX nel 1854; assunta in cielo in anima e corpo dopo morta, stabilito da papa Pio XII nel 1950) e assurta a ruolo di primaria importanza dopo il II secolo, quando il culto mariano è arrivato a bilanciare quello della Trinità, a umanizzare Dio e a dare un tocco di tenerezza e femminilità al pantheon cristiano (che era l’unico tra le religioni antiche insieme all’ebraismo a non avere figure femminili). Una figura di cui nei Vangeli si parla pochissimo e che dopo la Pentecoste scompare anche dagli Atti degli apostoli, ma che nei secoli ha assunto un ruolo di primaria importanza.
Giuseppe l'ebreo "giusto"
Poi c'è la figura di Giuseppe, per cui Augias non nasconde di avere particolare simpatia, forse perché malgrado sia il padre adottivo di Gesù, nei Vangeli è u na “figurina relegata sullo sfondo, attore marginale in un paio di episodi, muto per l’intera durata della narrazione”. E così lo spoglia delle caratteristiche dell’iconografia classica e lo riporta a quella che era la realtà del tempo: un artigiano o piccolo imprenditore di meno di trent’anni (molto più anziano di Maria che aveva dodici-tredici anni, ma non certo vecchio) che è definito “ebreo giusto” perché accetta la volontà di Dio. Forse era vedovo e aveva già dei figli (fratellastri di Gesù). Una figura comunque “problematica”, spiega il professor Filoramo, che anche i Padri della Chiesa hanno avuto difficoltà ad interpretare.
Giacomo, il fratello di Gesù e successore
Augias parla poi approfonditamente di Giacomo, il "fratello" di Gesù, affrontando un tema delicatissimo dal punto di vista storico, filologico e dottrinale. E’ forse questo il personaggio del ‘romanzo’ più interessante anche perché il meno noto. Si sa che è stato il vescovo di Gerusalemme e primo a portare avanti la parola di Cristo tra i giudei. Con lui si parla di dottrina giudeocristiana, dove i destinatari della parola di Cristo sono proprio i giudei e dove molte pratiche – tra cui la circoncisione – restano alla base della nuova religione (seppure dopo il 49 d.C. la rigidità di alcune prescrizioni venne meno). Interessante e calzante il paragone fatto dal professor Filoramo sulla fortuna delle religione dopo la morte del suo fondatore: le parole di Gesù sono state portate nel mondo dai suoi discepoli, primi fra tutti Giacomo e Pietro (e con lui Paolo, che però non aveva conosciuto Gesù), il fratello e l’erede designato (almeno stando alle parole del Cristo nel Vangelo di Matteo). Come sarebbe accaduto all’Islam con la morte di Maometto, quando furono in due a rivendicare il titolo di guida spirituale e legittimo successione del profeta, il cugino ‘Ali e l’erede designato Abu Bakr, che portò a una drammatica scissione – rispettivamente in sciiti e sunniti - di cui ancora oggi ne paga le conseguenze tutto il mondo islamico (e non solo), anche per il cristianesimo si assistette a una mini-scissione.
Senza le conseguenze dell’Islam, però, perché i giudeocristiani di fatto scomparirono dopo la morte di Giacomo – lapidato nel 62 dopo Cristo – e la distruzione del Tempio di Gerusalemme e la conseguente diaspora degli ebrei nel 70. Da allora la guida spirituale e la linea fu dettata da Pietro e da Paolo i cui seguaci (i due santi furono martirizzati a Roma sotto Nerone nel 65) proseguirono nella loro predicazione caratterizzata, tra l’altro, dalla visione degli ebrei opposta a quella di Giacomo: erano gli assassini di Cristo e non il popolo eletto del Signore.
La questione della vergine Maria
Augias tratta poi, quasi marginalmente, il tema del “fratello” e affida alle parole del professor Filoramo la spiegazione di una questione centrale nel cristianesimo, la verginità della Madonna, pre e post nascita di Gesù. Matteo, che come tutti gli evangelisti scrive il suo Vangelo in greco, riprende la profezia di Isaia presente nella Bibbia, ma la sua traduzione greca del Vecchio testamento è sbagliata e usa il termine “vergine” invece dell'originale ebraico “giovane donna”. In quanto al fatto che Gesù avesse dei fratelli carnali, poi, ci sono pochi dubbi – anche se la Chiesa lo nega per dogma – perché ne parlano tutti i Vangeli e non è credibile la spiegazione di San Girolamo del V secolo secondo cui il termine ebraico “ach” significa sia fratello che cugino: i Vangeli, infatti, sono scritti in greco e, seppure possono aver riportato espressioni ebraiche, chi li ha scritti non era un illetterato e ha usato una parola inequivocabile, “adelphos”, che vuol dire appunto fratello di sangue. Nel libro ‘Il grande romanzo dei Vangeli’ Augias approfondisce anche altre figure, da Giovanni Battista alla Maddalena, da Pilato ai personaggi che compaiono nelle ultime ore di vita di Cristo. E così completa un racconto che, come diceva Borges, appartiene di diritto alla letteratura fantastica. Un libro utile e prezioso scritto con un intento divulgativo e con il fine ultimo di incuriosire i lettori. Infine un’ultima annotazione: con il suo ‘romanzo’ Augias si inserisce in quel filone nobilissimo di autori e pensatori che hanno voluto scrivere una vita di Gesù. Senza la pretesa di raggiungere le vette dell’opera di Ernest Renan (1863), né di volersi confrontare col certosino Ludolfo di Sassonia (1474) o col giovane Hegel (1795), ma con l’umiltà del divulgatore e la sapienza del grande comunicatore.