R oma - "Gli antichi romani erano abituati a convivere spesso con patologie dolorose e invalidanti. Oggi è impossibile anche solo pensare di vivere con quelle sofferenze fisiche". E' così che Andrea Piccioli, ortopedico-oncologo e segretario della Società italiana di ortopedia e traumatologia (Siot), ha spiegato all'AGI il frutto di un ampio studio condotto su oltre 2mila scheletri di individui vissuti nella Roma imperiale (I-III secolo d.C.), provenienti dalle varie campagne di scavo delle necropoli suburbane della Capitale. Il lavoro è stato racchiuso in un volume intitolato "Bones Orthopaedic Pathologies in Roman Imperial Age", presentato questa mattina a Roma. La ricerca è frutto di un progetto della Siot, in collaborazione con il Servizio di Antropologia della Soprintendenza Speciale per il Colosseo, il Museo Nazionale Romano e l'Area Archeologica di Roma.
Il lavoro, oltre a basarsi sull'esame antropologico e sul rilievo fotografico, è stata integrato da approfondimenti diagnostici eseguiti con le più moderne tecniche di imaging, ad esempio la Tomografia Computerizzata multistrato (TAC), così da valutare lesioni impossibili da evidenziare con il solo esame clinico-morfologico. "La novità del lavoro è che gli individui (scheletri), lavoratori del ceto medio, sono stati esaminati tutti oltre che da antropologi, da un team di ortopedici e radiologi", ha sottolineato Piccioli. "Abbiamo riscontrato - ha continuato - marcatori di diverse patologie, anche molto invalidanti: artrosi, gotta, tubercolosi, tumori primitivi delle ossa o metastasi. Ma la cosa che più mi ha sorpreso è rilevare una quantità significativa di fratture, anche molto gravi e complesse, guarite". Questi reperti, secondo Piccioli, sono molto particolari. "Ci hanno fatto presupporre - ha sottolineato - delle buone e sorprendenti conoscenze sulle tecniche di guarigione dell'osso". (AGI)