Un anno senza WhatsApp: è l’esperimento condotto da Knut Traisbach, un giornalista del Guardian che ha deciso per motivi prima personali e poi professionali di vivere per 13 mesi senza il popolarissimo social network, tagliandosi fuori dalla vita (virtuale) di amici e colleghi. Ecco cosa ha capito al termine del suo anno sabbatico.
“Alla fine del 2016 mandai un messaggio a tutti i miei contatti: “Dopo il 31 dicembre, non userò più WhatsApp. Al suo posto, utilizzerò Threema and Signal”. La sera di Capodanno chiusi il mio account WhatsApp e cancellai l’app dal mio cellulare. Pochi click dopo avevo abbandonato la mia famiglia, i miei amici e i gruppi di lavoro. Appena scattata la mezzanotte, tutti i mei amici erano con gli gli occhi sullo smartphone che rimbalzavano auguri, mentre il mio telefono restava silenzioso. Io mi sentivo strano, a disagio, coraggioso e... bene”.
Perché l’ho fatto?
“La ragione iniziale aveva poco a che fare con la curiosità legata all’essere disconnessi. Avevo installato WhatsApp nel 2012 solo perché lo avevano tutti miei amici, ma alla fine del 2016 mi ero stancato di ricevere continuamene promemoria che avvertivano che a breve avrebbe smesso di funzionare perché il mio amato e vecchio Nokia non l’avrebbe più supportato. A quel punto mi sono chiesto cosa sarebbe accaduto se avessi installato un’app non di proprietà di Facebook. La mia curiosità si è trasformata così in un esperimento sociale”.
A(pp)stinenza
“I primi giorni della mia nuova vita sono stati promettenti. La ma nuova app contava 11 chat di carissimi amici e familiari invece che 70. E invece di digitare tutto il tempo ero tornato ad avere delle sane conversazioni telefoniche. La mia famiglia e i miei amici più intimi infatti avevano installato l’app che avevo suggerito, mentre alttri erano più restii e ai loro occhi mi sento in imbarazzo, strano, soprattutto quando dovevo spiegare perché avevo rinunciato a WhatsApp".
Dopo poche settimane, il mio telefono era sempre più muto e io meno dipendente da quell’oggetto che prima controllavo in continuazione. Avevo ricominciato a leggere di più, ma allo stesso tempo iniziai a rendermi conto di cosa significhi sentire escluso o non fare più parte di un gruppo. Chiedevo costantemente a ma moglie aggiornamento sulle discussioni dei gruppi di suola de nostri figli”.
Senza alternativa
“Col passare del tempo, è diventato sempre più difficile per me giustificare la mia decisione. Alcuni mi comprendevano, aggiungendo però che era dura non avere alternativa. Mentre un collega ha sottolineato di non essere preoccupato per la condivisione dei suoi dati per fini commerciali per il semplice fatto di non essere in possesso di un account Facebook. Ma è davvero così? E cosa accade con i dati di chi ha aperto e chiuso almeno uno dei due account? Facebook non è obbligato a cancellare quelle informazioni, e non sappiamo esattamente in che modo questi dati vengano utilizzati per influenzarci senza l’invio di notifiche. ‘Ad ogni modo, non ho nulla da nascondere’, mi avevano fatto notare alcuni amici. A quel punto ho capito una cosa fondamentale: ci fidiamo più delle società private che dei governi. ll nostro atteggiamento di base è quello di dubitare degli stranieri e dei governi, ma crediamo alle compagnie di servizi senza sapere nulla sul loro conto. Pensiamo che le società private utilizzino i nostri dati per ‘migliorare le nostre vite’, ma raramente riflettiamo su cosa ci vene tolto”.