La rete delle sue amicizie criminali, alla fine, è stata individuata e smantellata. Ma mai come in questi giorni l'Italia è stata a rischio terrorismo jihadista, e l'allarme resta alto. Anis Amri è morto da oltre un anno, ma la catena di odio che lo aveva a capo ha trovato il modo di rinascere, rafforzarsi e tornare ad essere pericolosa come lo era all'indomani della strage del mercatino di Natale, a Berlino. La rete dei suoi seguaci ora sembra essere stata smantellata, dopo i cinque arresti delle ultime ore, ma la vicenda ricorda come la lotta ai seguaci dell'Isis non sia ancora conclusa.
La vicenda personale di questo 24enne di origine tunisina, che colpì sulla Ku-damm durante le Feste del 2016, si è in gran parte dipanata in Italia. Del resto è proprio qui che si completò, anni fa, il suo processo di radicalizzazione, per cui da un ragazzo sbandato si trasformò in un volenteroso carnefice al seguito dell'Isis. È stato nel nostro Paese, a Lampedusa, che il tunisino arrivò diciottenne, nel 2011, a bordo di una nave di migranti. Al momento di toccare il suolo italiano, comunque, lui è tutto meno che un musulmano osservante.
La famiglia, interrogata dopo la sua morte, racconterà di un giovane sostanzialmente classificabile nella categoria dei balordi. Alcol, furti aggravati, prigione, violenza, uso e possesso di droga. Una condanna a cinque anni in contumacia: non esattamente il curriculum di chi segua strettamente i precetti del Corano. Finisce inevitabilmente in carcere anche in Italia, e qui si ha la trasformazione. Non si sa se si tratti di una vera e propria rinascita religiosa, di sicuro è l'accoglimento delle teorie più estremiste dell'odio verso il mondo occidentale.
Amri entra così nella rete salafita chiamata "La vera religione", una nidiata cresciuta intorno a Abu Walaa, un noto reclutatore dell'Isis in Germania, anche lui arrestato di recente. Insomma, Amri il terrorista nasce in Italia, ed in Italia muore nella notte tra il 22 e il 23 dicembre del 2016, in una fatale sparatoria con la polizia davanti alla stazione di Sesto San Giovanni. Quattro giorni prima si era lanciato a bordo di un camion sulla folla di un mercatino di Natale a Berlino, provocando 12 morti, tra cui l'italiana Fabrizia Di Lorenzo, e 56 feriti. Il più grave attacco portato in questi anni alla Germania, dove la cancelliera Angela Merkel è impegnata in una politica di accoglienza nei confronti dei migranti e dei profughi siriani. Una politica di sicuro coraggiosa, che sconterà più tardi alle urne.
Compiuta la strage, Amri cerca rifugio immediato presso alcuni amici che vivono in città, ma il terreno scotta, e lui decide di scappare verso sud. Passando però, per disperdere le tracce, dalla Francia.
La fuga lo porta a Chambery, in Savoia, e poi, via Torino, a Sesto San Giovanni, alle porte di Milano. Qui scende dal treno, probabilmente sperando di trovare di lì a poco un sostegno logistico, e in piena notte si mette a dormire in piazza, davanti alla stazione. Lo nota un'auto della polizia in servizio di pattuglia. Quando gli agenti gli chiedono i documenti estrae dal suo unico bagaglio, uno zainetto, una pistola calibro 22, la stessa usata nel mercatino per sparare sulla folla che scappava terrorizzata, e fa fuoco colpendo alla spalla un poliziotto. L'altro lo insegue ed esplode due colpi, uno dei quali lo lascia morto sull'asfalto. Una "scheggia impazzita che andava in giro con la pistola carica e già pronta all'uso e avrebbe compiuto altri attentati", dirà il questore di Milano Antonio De Iesu a sottolineare che non si poteva escludere, dopo il suo arrivo, nessuna ipotesi: neanche la più inquietante.
L'attacco di Berlino, comunque, basta da solo a fare di lui uno dei terroristi più letali d'Europa, tra quanti sono cresciuti alla falsa rivelazione dell'integralismo islamico. A due passi dalla Chiesa della Rimembranza, il 19 dicembre 2016, Amri sale su un tir polacco e accoltella il guidatore. Alle 20:02, guidando l'enorme camion, che ricorda per mole quello usato l'anno prima a Nizza per la strage del 14 luglio, irrompe tra le luci e le bancarelle istallate a Breitscheidplatz: quartiere Charlottenburg, un chilometro dalla Porta di Brandeburgo, pochi passi dallo zoo di Berlino. Il cuore della capitale tedesca. Per 50 metri Amri ed il suo tir travolgono tutto, tutto distruggono, niente lasciano intatto. Urban, il camionista polacco, riesce ad aggredirlo, cerca di strappargli di mano il volante, gli impedisce di seguire la traiettoria più micidiale e così salva molte vite. Lo ritroveranno ormai cadavere, quando tutto sarà finito, dietro il posto di guida. In testa il buco di una pallottola, la calibro 22 che verrà presto chiusa in uno zainetto, prima della fuga attraverso l'Europa.
L'Europa fa scattare un mandato d'arresto su scala continentale, con l'offerta di una taglia di 100 000 euro a chiunque fornisca informazioni che portino all'arresto del tunisino. Questi però è un professionista del terrore, e sa come si fa. Si stima che nel suo percorso totale abbia usato almeno quattordici nomi falsi e tre diverse nazionalità. Solo pochi, analizzando questi dati dopo lo scontro a fuoco di Sesto San Giovanni, si illudono che si tratti di un lupo solitario o quantomeno di un soggetto isolato.
Le indagini si svolgono per un anno e mezzo, nella riservatezza e attraverso le delicate modalità dell'intelligence e dell'analisi dei dati. Alla fine cinque arresti: la rete dei possibili fiancheggiatori, e dei possibili emuli, riceve un durissimo colpo. Ma anche un successo può contenere un avvertimento.