Un centro d'eccellenza italiana e non solo, all'avanguardia come lo scienziato da cui prende il nome, pioniere nel '700 della biologia sperimentale. L'ospedale "Lazzaro Spallanzani" di Roma torna al centro dell'attenzione: è qui, tra le mura ottocentesche inerpicate sulla Portuense, che si concentra la lotta al coronavirus cinese. Qui si fanno le analisi sui campioni, che danno il responso definitivo ("Lo conferma lo Spallanzani" è una delle frasi piu' ripetute in questi giorni), qui si visitano i casi più evidentemente sospetti, e sempre qui si tengono da stasera in isolamento i due turisti cinesi, primi casi in Italia del nuovo virus che spaventa il mondo.
Inaugurato nel 1936 come presidio destinato alla prevenzione, diagnosi e cura delle malattie infettive, con una dotazione di 296 posti letto in 15 differenti padiglioni e in un'area di 134.000 metri quadrati, lo Spallanzani ha attraversato la storia del XX e XXI secolo dal punto di vista scomodo ma necessario della trincea anti infezioni.
Dalla poliomielite negli anni '30 alla terribile epidemia di colera nel 1970, e poi la salmonellosi, l'Epatite B, che esplode insieme al boom dell'eroina, e fatalmente l'Aids, di cui dal 1980, tra i primi al mondo, l'ospedale e' uno dei maggiori centri per l'assistenza, la cura e la ricerca.
Nel 1991 inizia la costruzione di un nuovo complesso ospedaliero, progettato in conformità ai più avanzati standard e con caratteristiche di isolamento delle patologie contagiose uniche nel Paese. Nel dicembre 1996, il Ministero della Sanità ha riconosciuto lo Spallanzani Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico.
Successivamente (2001-2003) il Ministero lo ha identificato quale polo nazionale di riferimento per il bioterrorismo e, in seguito, polo nazionale di riferimento per la Sindrome respiratoria acuta grave (SARS). E poi l'avventura, finita bene, del medico italiano Fabrizio Pulvirenti, contagiato in Africa dal virus Ebola e salvato, dopo giorni di angoscia, sempre allo Spallanzani.
Attualmente l'Istituto detiene l'unico laboratorio italiano di livello di biosicurezza 4 e cinque laboratori di livello 3; una banca criogenica che può ospitare fino a 20 contenitori di azoto liquido e 28 contenitori a -80 C, dotata di un laboratorio di livello 3 per la manipolazione e la preparazione dei campioni da congelare; e ancora dal 2007 il "Polo Ospedaliero Interaziendale Trapianti (POIT); un servizio di rianimazione, terapia intensiva e sub-intensiva; un centro di riferimento per le infezioni nei trapianti; una Banca biologica per il deposito di organi e tessuti destinati al trapianto.