Per la terza volta in quattro anni, nella classifica degli artisti più ascoltati su Spotify ci sono solo uomini. Così nel mondo: Drake (con 8,2 miliardi di riproduzioni), Post Malone, XXXTentacion, J Balvin, Ed Sheeran. Così in Italia: Sfera Ebbasta, Capo Plaza, Gemitaiz, Gue Pequeno e Salmo. Tra tutte le classifiche (artista, brano e album), la sola donna a fare capolino è Dua Lipa, quarta tra i dischi più ascoltati. La domanda, a questo punto è: Spotify è sessista?
Perché lo streaming non è neutrale
Non è chiaro se la piattaforma rifletta o contribuisca a peggiorare la prevalenza maschile nel mondo della musica. Ma il problema c'è. Il dominio maschile dell'ultimo quadriennio è stato scalfito solo da Rihanna, in vetta nel 2016. Eppure, in questo periodo ci sono state star capaci di riempire stadi e vendere milioni di copie: Adele, Taylor Swift, Beyoncé, Pink, Katy Perry.
Non è una discriminazione volontaria, ma un possibile effetto collaterale di playlist e algoritmi. Per cercare di capire come funzionano, lo scorso anno la giornalista Liz Pelly ha pubblicato su Thebaffler un mini-studio. Non ha i crismi della ricerca scientifica, ma offre comunque qualche spunto. Pelly ha creato un account Spotify vergine, in modo che non fosse condizionato da precedenti ascolti. E per un mese ha annotato album e brani suggeriti. Nella playlist “Top of the Hits”, ad esempio, il 64,5% delle tracce era di autori uomini, il 20% di donne e il 15,5% di collaborazioni “miste”. E in altre playlist le percentuali sono state simili.
L'effetto eco delle playlist
Partendo da una predominanza maschile, si creerebbe quindi un “effetto eco” che induce all'ascolto di altri uomini. L'algoritmo tende infatti a suggerire musica in base ai “gusti dell'utente”. Cioè cantanti molto ascoltati dello stesso genere (musicale) e brani che non vengono saltati ma riprodotti fino in fondo. La piattaforma, quindi, non sarebbe solo uno specchio del mondo discografico, ma tenderebbe ad acuire la disparità. Anche perché Spotify sta modificando la fruizione della musica, privilegiano le playlist rispetto agli album. La loro composizione, quindi, è molto importante.
E potrebbe generare quell'effetto eco anche fuori dalla piattaforma, in radio o nei negozi di dischi. Nel 2017, la classifica Hot 100 di Billboard (che mette in fila i singoli più venduti e ascoltati) aveva solo maschi nella top 10. Non succedeva dal 1984. Nel 2018 c'è stato maggiore equilibrio, con tre brani cantati da donne e un quarto in collaborazione tra Cardi B e i Maroon 5.
Le “quote rosa” di Spotify
Spotify sa bene che il problema esiste. Non a caso, nella sua classifica dei più ascoltati dell'anno ha una top cinque riservata alle donne. Nel 2018 le più ascoltate sono state Ariana Grande (con 3 miliardi di riproduzioni), Dua Lipa, Cardi B, Taylor Swift e Camila Cabello. La piattaforma ha poi avviato alcuni progetti per cercare di mitigare lo squilibrio di genere. “Smirnoff Equalizer”, ad esempio, è un servizio che permette all'utente di scegliere la percentuale di donne e uomini presenti in una playlist. Il problema, però, è che è sempre Spotify a scegliere cosa farci ascoltare. La società ha lavorato in Svezia (dove è stata fondata e dove ha sede) al progetto “Equalizer”, con una serie di seminari ed eventi rivolti alle donne dell'industria musicale.
A marzo ha creato "Amplify", uno spazio dove trovare musica legata a cause sociali. E ha iniziato proprio da playlist dedicate alle donne. L'ultima iniziativa è dello scorso novembre: "EQL Directory" è un archivio che mira a creare una rete di professioniste, per spingerle in un settore dove è donna “solo il 5% di produttori, tecnici e ingegneri del suono”. Si potrebbe discutere sulla necessità di queste “quote rosa”, ma non è in discussione la buona fede di Spotify. Il punto è un altro: gli algoritmi di motori di ricerca, social network e servizi di streaming non sono neutrali.