Negli anni è diventata il simbolo di un'emergenza. La baraccopoli di San Ferdinando, smantellata stamane per l'ennesima volta, ha richiamato negli anni centinaia di persone che vi hanno trovato alloggio per lavorare come braccianti, spesso in nero, per le aziende agrumicole della Piana di Gioia Tauro. Migliaia di persone, prevalentemente uomini, richiamate nel comprensorio per la campagna agrumicola.
In passato anche cinquemila, oggi circa tremila nei momenti cruciali. In questi giorni circa mille, visto che la stagione è agli sgoccioli. Stamane 900 persone hanno dovuto lasciare le baracche di cartone e lamiere arrugginite per scegliere dove trasferirsi: alcuni nei centri Sprar della regione, altri nella vicina tendopoli allestita dalla Protezione civile della Regione Calabria con tende e servizi, altri ancora saliti sui treni per cercare fortuna altrove.
"Per ogni migrante un posto dove andare"
"Per ogni migrante abbiamo stabilito un posto dove andare, in parte nella nuova tendopoli, nella maggior parte nei Cas e negli Sprar. L'obiettivo più importante, cioè di superare la baraccopoli, un'idea evocata da tanti, si sta pacificamente e serenamente realizzando. Questo è sotto gli occhi di tutti", ha detto il prefetto di Reggio Calabria, Michele di Bari,.
Lunghissima la fila, di almeno due o tre centinaia di persone, che si è vista in attesa davanti all'ingresso alla nuova tendopoli che ospiterà i braccianti stranieri sloggiati dalla vecchia baraccopoli. Si tratta, comunque, di una fila ordinata, in attesa delle operazioni di identificazione. Il questore, Raffaele Grassi, ha espresso soddisfazione per l'andamento delle operazioni: "Si può prendere atto che tutto procede senza problemi per l'ordine pubblico".
Storia di un'emergenza infinita
Quella di San Ferdinando è un'emergenza infinita. Anni di rinvii e di annunci. Non e', infatti, la prima volta che si prova a smantellare la baraccopoli, abbattuta e rinata come l'Araba Fenice. In passato vari interventi sono caduti nel vuoto. Intere aree furono smantellate e rase al suolo, sempre su ordinanza dei sindaci che si sono succeduti, ma in pochi giorni ogni volta le baracche di cartone e lamiere sono tornate nella loro precarietà. Due anni fa fu emessa un'ordinanza di sgombero e demolizione, ma rimase inattuata; l'ultima, emessa dal sindaco Andrea Tripodi, è di pochi giorni addietro.
Una polveriera che prima o poi sarebbe dovuta scoppiare. Cosa avvenuta il 7 gennaio 2010, quando sconosciuti spararono diversi colpi con un'arma ad aria compressa su tre immigrati di ritorno dai campi. Il ferimento fece scattare la sommossa. Per due giorni, "la rivolta di Rosarno" mise in piazza violenza e guerriglia: 53 persone ferite, tra cui poliziotti, rosarnesi e immigrati. Da un lato, gli immigrati, stanchi di vivere in condizioni disumane, dall'altra i rosarnesi, armati di mazze e bastoni per cacciare quella stessa manodopera di cui si sono sempre serviti. I migranti furono trasferiti nei centri di identificazione ed espulsione, ma nei mesi successivi tutto tornò come prima e gli stranieri tornarono ad abitare le baracche per lavorare nei campi.
Più volte la baraccopoli è stata teatro di incendi scatenati dai fuochi accesi per scaldarsi durante la notte o per dolo, come avvenne il 27 gennaio 2018 quando perse le vita una 26enne nigeriana, Becky Moses, vittima di un incendio doloso che portò anche al fermo di una donna straniera che avrebbe agito per gelosia. Il 2 dicembre 2018 toccò a Surawa Jaith, un gambiano che non aveva ancora compiuto 18 anni. Il 16 febbraio scorso la morte di Moussa Ba, un senegalese di 29 anni. Quest'ultima tragedia ha fatto scattare la decisione di demolire definitivamente la baraccopoli. Ma in molti si chiedono cosa accadrà nel prossimo periodo di raccolta degli agrumi, quando qualcuno dovrà tornare a riempire le cassette.