L’ultimo in ordine di tempo è stato Linus, che sul suo profilo Instagram ha pubblicato un post che sarebbe inutile smorzare nei toni: “Ragazzi, adesso mi sono rotto il cazzo. Vi racconto come stanno le cose”.
E le cose stanno, secondo il direttore di Radio Deejay, che lui non ha condiviso l’appello di Rolling Stone, anzi, di aver detto che a suo avviso “i migranti sono un problema, che (Salvini) fa bene a farsi sentire, ma che non mi piace il modo e il tono con cui lo fa”. Quindi di essere messo “in un calderone, a mia insaputa”.
A cinque giorni dalla copertina dell’ultimo numero del mensile, l’iniziativa del direttore Massimo Coppola continua ad alimentare polemiche, e registrare defezioni tra i suoi a questo punto ‘presunti’ firmatari. L’ultima è forse quella che ha fatto più male alla direzione, tanto che l’editor in chief Giovanni Robertini replica al direttore di Radio Deejay pubblicando il testo della mail con la chiamata alle armi, ricordandogli che ne era perfettamente al corrente:
“La copertina del prossimo numero di Rolling Stone sarà dedicata alla situazione politica italiana, in particolare modo all’operato del nuovo Ministro dell’Interno Matteo Salvini.Riteniamo che sia il momento di prendere una posizione forte e chiara rispetto ai provvedimenti messi in atto dal nostro Ministro dell’Interno. Ci aggiorniamo entro giovedì mattina per avere un primo feedback.”
È questo quindi il testo che è stato inviato. Difficile intendere che dietro ci sia una chiamata alle armi o un appello anti-Salvini, che infatti non era nelle intenzioni del magazine. Certo, dietro quella “posizione forte e chiara” poteva sembrare chiaro che si trattasse di un’azione di dissenso. Ma Linus la sua posizione chiara l’ha pure manifestata. Solo che difficilmente poteva essere intesa come dissenso incondizionato.
Poi il magazine rilancia pubblicando la risposta di Robertini che parla di "pentimento tardivo, piuttosto confuso nelle motivazioni" e assicura che non c'è stata "nessuna 'carognata' da parte nostra".
Mentana, Serra e gli altri che hanno precisato la loro posizione
Con Linus si sono defilati sette dei 50 nomi pubblicati dalla rivista “tutti contattati”, scrive Rolling Stone, “ma non tutti hanno risposto”. Il 5 luglio il giornale va in edicola, lo stesso giorno arriva la prima precisazione, forse la più fragorosa. È quella di Enrico Mentana, direttore di Tg La 7, che su Facebook scrive: “Non credo agli appelli o alle prese di posizione perentorie e che servono a scopi identitaria, o a volte peggio mirano a un po’ di pubblicità gratuita […] Scelta legittima, ma che non condivido. Il giornalismo è fatto di racconto e di confronto di idee, di attacco alle posizioni ritenute sbagliate, o perfino pericolose. Mai però la scelta di una persona liberamente eletta come bersaglio, come uomo nero […] Non ho ancora letto la rivista. So però che il suo direttore mi aveva chiesto l’adesione, e la risposta è stata chiara… “No””.
Il giorno dopo si defila un altra delle firme del giornalismo italiano, Michele Serra: “Ieri ho scoperto di essere, del tutto inopinatamente, in un lungo elenco di firmatari di una specie di manifesto di Rolling Stone contro Salvini. Poiché viviamo in un momento di profondo disprezzo delle persone e delle parole, credo che la sola risposta possibile sia rispettare le persone e rispettare le loro parole. Non sono firmatario di alcun appello o manifesto. Scrivo e firmo in prima persona le mie parole e non desidero che siano utilizzate al di fuori del loro contesto”.
Alle parole di Serra ha risposto lo stesso Coppola, sottolineando che quello di Rolling Stone "non è un appello né vi sono firmatari", ma la richiesta di "un pensiero sulla situazione",
"una lista di brevi dichiarazioni di persone che stimo del nostro mondo potessero dare il via ad un dibattito costruttivo”. Le parole “appello” e “firmatari”, aggiunge il direttore della rivista, "non sono scritte nel testo sopra e nemmeno nel giornale in edicola. Se i 'media' chiamano questa iniziativa 'appello' non è certo nostra responsabilità".
Nel frattempo era arrivata anche la smentita dello scrittore e giornalista Alessandro Robecchi: “Nessuno mi ha interpellato né chiesto nulla. Sono contro Salvini, ma anche contro i fumetti che si fanno pubblicità usando il mio nome”. E la cantante Fiorella Mannoia: “Non mi è stato chiesto alcun permesso. E questo mi sembra molto scorretto”. Più morbido il vignettista e regista Gianni Pacinotti (Gipi) che scrive: “Non sono d’accordo con il chi tace è complice con il quale è stata lanciata questa cosa dalla rivista. Chi tace sta zitto. Avrà modi e motivi suoi”. Un’altra giornalista, Valentina Petrini, scrive su Twitter di non essere mai stata contattata, ma se fosse stato fatto avrebbe firmato l’appello e condiviso la battaglia del mensile.
La difesa del direttore di Rolling Stone su La Stampa
Il direttore Coppola in un’intervista a La Stampa ha ammesso che si sarebbe aspettato “Una qualità del dibattito diversa”, ma che rifarebbe tutto e non ammette che sulla campagna ci sia stato un effetto boomerang: “No. Perché ogni cosa che uno fa è un boomerang? Se noi avessimo un’opposizione forte e decente che riuscisse attraverso agli strumenti della politica ad evitare una contrapposizione netta e a riportarci su un terreno razionale, questo tipo di iniziative non sarebbe necessarie. Quindi la nostra è stata controproducente rispetto a cosa? A quali vittorie che stiamo conseguendo? O a quali rappresentanze politiche che rappresentano queste posizioni? Non riesco a capire come non stare zitti possa essere controproducente”.