Non c'è nessuno in casa, a parte lui, il papà del bambino di 13 anni coinvolto nella rissa scoppiata al centro migranti della Croce Rossa di via del Frantoio a Roma. Dopo la confusione di martedì sera l'uomo se ne sta seduto fuori la porta del suo appartamento al piano terra, non molto distante dal luogo dell'assedio.
Cosa è accaduto a via del Frantoio
Non c'è ancora molta chiarezza su quanto accaduto la sera del 29 agosto. Anche lui è rimasto sconvolto quando è spuntata la notizia che sarebbe stato suo figlio a ferire il migrante eritreo. L'uomo ha 36 anni, è appena uscito di prigione ed è senza lavoro. Ha una famiglia numerosa da sfamare: sette figli, avuti da due compagne diverse, ma sorelle tra di loro. Con la prima e dalla quale è separato ha avuto cinque figli, tra cui anche M. di 13 anni. Gli altri due li ha avuti con l'attuale compagna, Patrizia, che è anche la protagonista della vicenda. E' stata lei, in base a quanto ha raccontato (guarda Video-intervista su ilTempo.it), a rimanere 'intrappolata' insieme al nipote nel centro di accoglienza del Tiburtino Terzo, nella periferia est della Capitale.
Le altre verità
Oltre alla donna, ha parlato anche l'eritreo ferito. L'uomo, di nome Yacob M., intervistato da Repubblica.it, racconta: “Una donna mi ha dato una sprangata con una sbarra di ferro. Questo è razzismo, io non ho fatto nulla. Adesso, appena guarisco, voglio tornare in Eritrea da mia madre. Non ci voglio più stare qui”. Tra le due versioni si pone quella, raccolta da Sky Tg24, di un testimone, ospite del centro, che racconta un'altra versione: tutto sarebbe nato dalla richiesta della donna di una sigaretta. Alla risposta negativa dell’eritreo, la donna “l’ha seguito. Il ragazzo che stava con lei gli ha ficcato un pezzo di ferro nella schiena”. I connazionali della vittima hanno quindi pensato di chiudere le porte in attesa dell’arrivo delle forze dell’ordine per chiarire l’accaduto. Nessun sequestro, “i ragazzi del centro non sanno cosa vuol dire. Quello che hanno pensato è di chiudere le porte in attesa dell’arrivo dei carabinieri…”, conclude il testimone.
Parla il padre del presunto aggressore
Sono passati quasi due giorni dai fatti che hanno visto coinvolta gran parte della sua famiglia. Adesso il padre del ragazzo accusato di aver accoltellato l'eritreo ci tiene a raccontare, in un'intervista all'AGI, la sua versione della storia.
Un testimone ha detto che è stato suo figlio a ferire l'eritreo. Che ne pensa?
"Mio figlio non ha dato nessuna coltellata, è un bambino buono e molto impaurito da ciò che è accaduto l'altra sera al centro di accoglienza per gli immigrati. Oggi ho dovuto insistere per mandarlo al mare, voleva rimanere a casa qui con me. E' un bambino molto timido e non riesce a farsi valere nemmeno durante una lite con i fratelli. Non riesco proprio ad immaginare che possa aver colpito quell'uomo eritreo, dopo il danno anche la beffa. E' stato mio figlio ad essere stato sequestrato dagli abitanti del centro".
Se non è stato suo figlio, chi è l'autore del ferimento?
"Sono convinto che sia stato uno di loro. Gli immigrati intendo. Hanno ingigantito tutto per passare dalla parte della ragione. Si è trattato di un colpo molto lieve. Durante la rissa io non ho visto lame. Noi ci siamo difesi solo con le mani".
Conosceva l'eritreo ferito?
"No, non lo conoscevo, ma una volta l'ho trovato all'angolo del mio palazzo mentre faceva pipì. L'ho cacciato via e l'ho strattonato. Ho una bambina e sei maschietti e non voglio che si trovino davanti una scena del genere. Non è bello, ci sono i bagni pubblici, ci sono i bar. Dopo quello che è successo con mio figlio e la mia compagna spero proprio di non incontrarlo più".
Come sono andati i fatti secondo lei?
"Io sono arrivato dopo, ma da quello che mi raccontano so che mio figlio era fuori con altri bambini e stava passeggiando con il fratellino più piccolo per farlo addormentare. A un certo punto credo ci sia stato uno scontro verbale con questo ragazzo di colore che ha poi tirato dei sassi. Da qui è cominciato tutto. A quel punto è stata chiamata la mia compagna che subito è andata al centro della Croce Rossa per capire cosa fosse successo. Io ero da mio zio, mi hanno chiamato e li ho raggiunti in via del Frantoio. Lì ho trovato un putiferio. Tante persone mi sono venute contro, avevano anche qualcosa in mano. Saranno state circa 100 persone. Una volta recuperati la mia compagna e mio figlio ce ne siamo andati e ci hanno inseguito".
Come si sente oggi?
"Sono arrabbiato, non la possono passare liscia. Hanno preso mio figlio, lo hanno sequestrato, hanno alzato le mani su di lui. Ha solo 13 anni e lì sono tutti adulti, gli stessi che fino a ieri passeggiavano davanti le nostre case e non abbiamo mai detto loro niente. Hanno sempre fatto come volevano. Mio figlio non lo dovevano toccare. Hanno sbagliato persona, sarei capace di tutto: sono disoccupato, sono uscito da poco dalla prigione e sono molto nervoso".
Cosa farà ora?
"Come padre non ci posso passare sopra, come compagno, invece, ammetto che forse lei è stata troppo impulsiva . Non doveva andare subito al centro, mi doveva aspettare e così avremmo chiamato i carabinieri. Logicamente però come zia si è sentita chiamata in causa".
La presenza degli immigrati in prossimità della sua casa la disturba?
"In questa zona ci sono due centri di accoglienza. Gli immigrati che si trovano in quello gestito dalle suore non danno nessun problema, si comportano molto bene. Non sono razzista, con alcuni di loro ci ho stretto anche amicizia. Ma quelli del centro della Croce Rossa sono terribili, sbandati e drogati. Spero che le istituzioni capiscano che in via del Frantoio il presidio umanitario deve essere chiuso. Devono spostarli, non è il primo episodio che capita. Altre volte ci hanno infastidito e ho dovuto farli allontanare da casa mia"