"Chiediamo perdono, per le parole vuote, false e prive di significato che in questi tre anni abbiamo detto e ascoltato". Le parole del Vescovo della Diocesi di Rieti, monsignor Domenico Pompili, rompono il silenzio del Palazzetto dello Sport di Amatrice, stracolmo per rendere omaggio alle 239 vittime che hanno perso la vita nel solo borgo reatino distrutto dal terremoto di tre anni fa. Perché la memoria di quel 24 agosto 2016 è ancora stampata in ogni angolo di quel poco che resta del paese, dove le ferite indelebili di un dolore senza fine sono ancora in bella vista.
Alle parole, durissime, del vescovo Pompili segue un applauso fragoroso della platea, che nasconde tra le righe un duro atto d'accusa contro la politica, sempre meno rappresentata sul territorio col trascorrere degli anni: oltre alle autorità locali c'era, in rappresentanza di un governo che nonostante la crisi politica è tuttora in carica, il solo sottosegretario con delega alla ricostruzione post-sisma, Vito Crimi.
L'appello del vescovo
Anche perché gli abitanti di Amatrice, dopo tre anni trascorsi in silenzio ad ascoltare promesse non mantenute, iniziano a rialzare la testa, nonostante tutto. Ed abbracciano in toto il monito di monsignor Pompili, che nel chiedere nuovamente, per l'ennesima volta, un cambio di passo nell'opera di ricostruzione dei luoghi del Centro Italia colpiti dal terremoto, auspica in una "visione del futuro come unica strada per sottrarsi alla paralisi. Lo dobbiamo non solo ai nostri figli, ma a quelli che non sono più tra noi".
"La tendenza, col passare del tempo e dei governi che si sono succeduti, sembra essere stata sempre quella di ricominciare daccapo, e nel modo esattamente contrario a chi c'era prima - ha proseguito il Vescovo di Rieti - con l'effetto inevitabile del creare una situazione di stallo. Senza un progetto di lungo respiro non si va da nessuna parte". Quindi l'appello affinché "si decida presto e più in fretta. Se manca uno sguardo condiviso si spegne anche l'entusiasmo".
Che è esattamente quello che sta succedendo in tutto il Centro Italia, dove "la ricostruzione, dopo tre anni, non arriva neanche al 5% - ricorda il primo cittadino di Amatrice, Antonio Fontanella - di questo passo, se non cambiano le procedure per poter ricostruire, non basteranno 30 anni per tornare alla normalità, quando con procedure snelle, e soprattutto dando ascolto agli enti locali, potremmo ricostruire tutto in 8-10 anni". Ma le procedure evocate dai sindaci sono quelle di leggi straordinarie. "Perché non si può affrontare il più grande terremoto degli ultimi 50 anni - prosegue ancora Fontanella - con un quadro normativo di routine".
"Serve un quadro normativo speciale"
Da Arquata del Tronto - dove ha partecipato alla cerimonia per le 50 vittime marchigiane del terremoto - si dice "assolutamente d'accordo" il commissario straordinario alla Ricostruzione post-sisma, Piero Farabollini: "Serve un quadro normativo speciale, come accaduto per la tragedia del Ponte Morandi - dice - qui ci sono 138 Comuni che stanno vivendo un dramma immenso, ed è sotto gli occhi di tutti che la legge 189 del 2016 non ha funzionato, perché non permette una ricostruzione veloce, con le tempistiche che questo territorio chiede. Stiamo cercando di salvare qualcosa, e le ordinanze cercano di individuare quei percorsi che possano in qualche modo accelerare la ricostruzione".
Ma non basta. "Certo la situazione politica attuale non aiuta - ha aggiunto il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Crimi - anche perché già da settembre erano in programma appuntamenti importanti per poter andare incontro a quei processi di velocizzazione che vengono chiesti non soltanto da amministratori e cittadini, ma anche dalle imprese e dai tecnici. Continueremo ad essere al fianco di questi territori, qualunque siano le sorti del governo e del Movimento 5 Stelle". La cerimonia finisce, i riflettori si spengono, ancora una volta, e alle pendici dei Monti della Laga si torna ad essere soli. In attesa che cambi qualcosa. Prima o poi.