È Matteo Messina Denaro il capo dei capi di cosa nostra? È questa la domanda che, spesso, si sente porre. A maggior ragione dopo la morte di Totò Riina, avvenuta lo scorso 17 novembre. Matteo Messina Denaro, non c’è bisogno di ricordarlo, è l’inafferrabile primula rossa latitante da 26 anni, cioè dall’epoca delle grandi stragi.
Dalla Relazione della Direzione Investigativa Antimafia per il secondo semestre del 2017 emerge un punto fermo. È improbabile che sia Messina Denaro, “pur essendo egli l'esponente di maggior caratura tra quelli non detenuti, ed in grado di costituire un potenziale riferimento, anche in termini di consenso, a livello provinciale”. Anche perché “i boss dei sodalizi mafiosi palermitani, storicamente ai vertici dell'intera organizzazione, non accetterebbero di buon grado un capo proveniente da un'altra provincia”. Ed inoltre Matteo Messina Denaro “negli ultimi anni, si sarebbe disinteressato delle questioni più generali attinenti Cosa nostra, per poter meglio gestire la latitanza e, semmai, gli interessi relativi al proprio mandamento ed alla correlata provincia” (lo stesso Riina, intercettato in carcere, se ne lamentava).
Una nuova lotta per la successione?
Eppure, a differenza di altre mafie, Cosa nostra “non può rinunciare a dotarsi di un nuovo capo”. È per questa ragione che la Dia lancia un allarme che non andrebbe sottovalutato e condiviso, dal novembre scorso, dalle riflessioni di molti analisti. La successione al corleonese Riina è “a rischio di forti tensioni che potrebbero sfociare in atti di forza, con pericolose ripercussioni nell'immediato”. Sì, perché se da un lato è certo che vi siano “aspetti problematici”, dettati soprattutto dalla riorganizzazione dei capi famiglia non facili visti gli stringenti controlli delle forze di polizia, dall’altro vi è la pressoché certezza che la mafia siciliana non possa rimanere senza una “testa” al comando della cupola.
In questa lotta interna potrebbe candidarsi a raccogliere l’eredità l’ala di più stretta osservanza corleonese imponendo, per cooptazione, nuovi punti di riferimento. “In tale contesto, non mancherebbero – rende noto la Dia – dentro e fuori dal carcere, soggetti, anche in rapporti di parentela con Riina, già accreditati di un certo seguito, i quali potrebbero aggregare nuove forze e propendere per la vecchia linea di intransigenza, sfociando in eventuali atti dimostrativi”. Eppure non ci sono solo i corleonesi. Giovani capi emergenti stanno cercando di trarre profitto della situazione e cercano spazi per imporsi, entrando in conflitto con gli anziani “uomini d’onore” che, tornando in libertà, potrebbero ambire alla leadership.
Una cupola (per ora) senza capo
“Agli anziani uomini d’onore – spiega infatti la Dia – indipendentemente dalla carica ricoperta e pur in assenza di una formale investitura, è stato finora spesso riconosciuto, per l’autorevolezza derivante dal curriculum criminale, il potere di direzione ed elaborazione delle linee strategiche fondamentali, di gestione degli affari più importanti e di riorganizzazione delle famiglie, decimate da numerosi arresti e pesanti condanne”. Infine, in questa situazione di incertezza, i cosiddetti “scappati” – cioè i perdenti sopravvissuti alla guerra di mafia vinta dai corleonesi che, per avere salva la vita, furono costretti ad emigrare all'estero, in particolar modo in America e che adesso stanno rientrando in Sicilia – “potrebbero pensare di consumare le proprie vendette, riappropriandosi del potere mafioso”.
Ma su tutti in atto c’è un “organismo collegiale provvisorio, con funzioni di consultazione e raccordo strategico e costituito dai capi dei mandamenti palermitani più rappresentativi”. E tale organismo, rispecchiabile nella cosiddetta cupola ma senza capo è quello che “continua ad esprimere una linea-guida nell’interesse comune, specie se volta a regolare le scelte affaristico-imprenditoriali”. Scelte affaristico-imprenditoriali, cioè i soldi, da sempre l’unico motore che muove le scelte della mafia.