Fetore. Miasma. Esalazione. In una parola, puzza. Ovunque, per la città. Ciò che avvicina e rende indistinto il centro e la periferia. Ciò che equipara i Parioli a Tor Bella Monaca. Un odore trasversale e al tempo stesso globale. È l’odore di Roma. Odore di marcio. Di cibo in putrefazione, aumentato dal caldo di questi giorni e dai cassonetti della raccolta dei rifiuti pieni e strabordanti fino a riempire interi marciapiedi.
Un odore spesso insopportabile, notato dai turisti e impossibile da accettare dai residenti, che ha una spiegazione tecnica, che va oltre la quantità di sacchetti per l'immondizia che restano sotto al sole fuori dai cassonetti più del dovuto.
Le postazioni stradali dei cassonetti a Roma sono 15 mila. Ma quelle complete con i cassonetti per la raccolta dell’umido, della carta, latta e plastica sono appena il 64% del totale, pari a 9.671 unità. Cassonetti che vengono agganciati dai camion dell’Ama, la Società per la raccolta della immondizia urbana. La raccolta porta-a-porta, invece, copre il 33% degli abitanti, pari a 951mila persone. Ma molto bidoni sono rotti, manomessi, senza ruote, così come i lo sono i cassonetti delle postazioni, in strada, lungo i marciapiedi o nelle apposite rientranze. Roma soffoca. E sprofonda nella puzza di ‘monnezza
Ormai è una marea indistinta di sacchetti. Di tutti i tipi. Regolari e irregolari. Da “manuale del perfetto cittadino” al sacchetto che contiene l’umido ma che è in plastica. In perfetto stile “cittadino delinquente”. Tanto che ieri Natale Di Cola, segretario generale della Funzione pubblica della Cgil di Roma e del Lazio ha dichiarato che “la Sindaca deve prendere atto della situazione di emergenza e trovare una soluzione per lo smaltimento, che coinvolge anche le altre istituzioni”.
Secondo il dirigente sindacale, “i lavoratori sono disponibili a collaborare a un piano straordinario di pulizia della città, ma devono essere dotati di strumenti che allevino i gravi disagi di questi giorni, causati dalla troppa raccolta manuale effettuata con mezzi inappropriati”.
E poi: “Negare l’emergenza è un errore”. Anche perché è sotto gli occhi di tutti. E dentro le narici di ciascuno. Odore acre. Acido. Rancido. Di uova marce. Di percolato tossico. “Certo, con i quasi 40 gradi di questi giorni è difficile che i cassonetti non emettano odore”, dice Alessandro Russo, responsabile per l’Ama della Cgil. “Il disagio sono i cumuli che stazionano. Poi, spesso nell’indifferenziata si trova anche l’umido… e questo genera la puzza…”. “Ma la ‘monnezza non profuma mai”, chiosa parafrasando un collega poeta.
Il cumulo della immondizia che la città e i suoi servizi non è in grado di smaltire porta inevitabilmente alla “raccolta manuale”. E in mezzo al “cumulo” ci si trova di tutto, dai topi ai vermi ai corvi ai gabbiani. Le condizioni di lavoro per chi fa la raccolta manuale dei sacchi sono ad elevato rischio tossico, epidemico, di malattie, di malesseri momentanei e sul posto di lavoro. Con svenimenti, giramenti di testa, conati di vomito.
“La percentuale di operai che fanno la raccolta manuale è altissima”, dice ancora Russo. Ben oltre il 30% della forza lavoro impiegata. E stiamo parlando di raccolta per strada, quella che fuoriesce e straborda dai cassonetti riempiendo i marciapiedi, invadendo spesso la corsia delle strade.
Poi c’è il porta-a-porta. “Che influisce per la stessa entità, con il risultato che il 50% del personale impiegato raccoglie con le mani” si inserisce ancora una volta Alessandro Russo. E chi raccoglie la ‘monnezza con le mani poi non fa nient’altro. Non spazza il resto della città, per esempio. Dai marciapiedi alle strade alle piazze.
La verità è che i cassonetti puzzano anche d’inverno. Quando fa freddo e pure se sono vuoti. È una puzza meno diffusa, ma sempre puzza è. Più localizzata. E meno espansa. Ma il sottofondo acre è una costante. Forse non c’è anche un problema di fondo? Quello che riguarda la manutenzione dei cassonetti, a parte le ruote, le porte che non si chiudono o che talvolta sono sfondati. Chiamiamolo pure: problema di manutenzione ordinaria.
“La manutenzione dei cassonetti stradali e di quelli del porta-a-porta dentro gli androni dei palazzi, nei locali dei caseggiati, è una vera emergenza”, ammette Russo. Come ovviare? Non si sa. Andrebbero puntualmente lavati, a cadenza fissa, periodica, regolare, ravvicinata. Frequente. Ma per poterlo fare ci vogliono macchinari appositi. “E i macchinari non ci sono”. Si potrebbero allora ritirare i cassonetti, portarli in un deposito, lavarli e riportarli poi sulla strada nella loro postazione? Ma fare tutto ciò “diventa un doppio lavoro”, ci raccontano. Perché non c’è solo il lavaggio ma ci dovrebbe essere anche l’igienizzazione. Un lavoro che possono fare solo macchinari appositi. Ma “i macchinari non ci sono”. Non esistono, dicono al sindacato. Nessuno li ha mai acquistati.
Tramite l’ufficio stampa dell’assessore all’Ambiente di Roma Capitale, il cui interim è stato assunto dalla Sindaca in persona, abbiamo chiesto conto all’Ama di questa situazione del lavaggio cassonetti. E l’Ama ci ha fatto sapere che all’atto dello svuotamento dei cassonetti viene fatta ogni giorno una pulizia dai compattatori “che irrorarono con igienizzante” in base ai giri che fanno i camion nei quartieri. E poi, c’è una squadra che “in base ad un programma ogni giorno pulisce con enzimi specifici” le aree circostanti i cassonetti, “municipio per municipio”. E anche qui sempre in base ai giri giornalieri dei camion.
Replica il sindacato: “A noi risulta che interventi di questo tipo siano molto limitati e che appartengano più al passato che no all’oggi. Sarebbe opportuno che queste repliche dell’azienda fossero poi accompagnate da numeri a supporto, perché interventi di questo tipo con i mezzi ci risultano nulli”, dice ancora Alessandro Russo.