Sarà un'udienza chiave quella di oggi per l'esito del processo, davanti alla corte d'assise di Macerata, a carico di Innocent Oseghale, unico imputato della morte di Pamela Mastropietro, avvenuta il 30 gennaio 2018. Tre consulenti della difesa si alterneranno sul banco dei testimoni, per spiegare come sia morte la 18enne romana: l'anatomopatologo Mauro Bacci, la tossicologa Paola Melai e la criminologa Antonella Zecchini, che interverrà nel pomeriggio.
Prima di lei parlerà Oseghale, una breve dichiarazione spontanea, in cui ribadirà di non aver violentato Pamela e di non averla uccisa, perché non avrebbe avuto alcun interesse a farlo. "Voglio pagare per quanto ho commesso realmente", dirà l'imputato ai giudici della corte d'assise. Nulla di nuovo rispetto ai diversi interrogatori cui Oseghale è stato sottoposto e neanche rispetto all'ultima versione che ha fornito agli inquirenti: "A uccidere Pamela è stata un'overdose di eroina. Lei, stordita, ha battuto la testa cadendo a terra ed è morta".
Una ricostruzione che il nigeriano avrebbe scritto in un memoriale che Stefano Giardini, ex finanziere e truffatore seriale, ex compagno di cella a Marino del Tronto, ha raccolto per farne un libro e che dalle scorse settimane è agli atti di questo processo.
"Oseghale parla un inglese rivisitato, difficile da comprendere", ha spiegato oggi Simone Matraxia, uno dei suoi difensori. "Tradurre quanto dice rischia di non avere senso o che si dia un senso diverso dalle sue intenzioni". Da qui la scelta tecnica delle dichiarazioni spontanee, che gli eviterà di rispondere alle domande della pubblica accusa e di Marco Valerio Verni, zio della 18enne e difensore della famiglia. Verranno così cristallizzati i verbali degli interrogatori che ha reso durante l'indagine.
Più delle dichiarazioni di Oseghale, però, avranno un peso le testimonianze dei tre esperti nominati a suo tempo dai difensori del nigeriano. L'anatomopatologo Bacci e la tossicologa Melai hanno partecipato all'autopsia della vittima e hanno un'idea su come sarebbe morta Pamela diversa da quella che, due settimane fa, ha ribadito in aula il consulente della procura, Mariano Cingolani.
È stata una coltellata a uccidere Pamela?
Con il trentenne africano che ha già confessato di aver fatto a pezzi e poi abbandonato i resti della ragazza romana in due trolley, il dibattimento in corso punta ad accertare se Pamela sia stata violentata dal suo aguzzino: (secondo la criminologa Zecchini, Pamela era in grado di autodeterminarsi e di scegliere con chi fare sesso) e, soprattutto, se a ucciderla siano state le due coltellate inferte al fegato da Oseghale, come è convinta la procura maceratese, o se sia stata l'overdose di eroina, che Pamela ha consumato nell'appartamento di Via Spalato, come sostengono i due esperti nominati dalla difesa.
In particolare, Bacci è convinto che le ferite sul corpo della ragazza, all'altezza del fegato e procurate con un coltello, non siano state determinanti per causarne la morte, perché essendo il fegato un organo molto vascolarizzato la ferita avrebbe dovuto sanguinare molto di più di quanto hanno evidenziato i reperti.
Dopo la testimonianza, in occasione della quarta udienza, di Antonio Tombolini, che fece la prima autopsia sui resti di Pamela, e di Mariano Cingolani, al quale la procura affidò un secondo accertamento, il presidente della corte d'assise Roberto Evangelisti ha disposto che i due consulenti dell'accusa domani siano disponibili a un eventuale confronto diretto con i colleghi indicati dalla difesa, in modo da chiarire ai giudici quello che resta il più importante interrogativo di questo processo: cosa abbia realmente causato la morte di Pamela.