Non date la colpa a lui: mentre prosegue il rimpallo delle responsabilità del disastro di Genova, Il Foglio assolve con formula piena chi disegnò e realizzò il ponte che ancora adesso porta il suo nome.
Riccardo Morandi, scrive, “di certo non fu uno scienziato pazzo, bensì uno del triumvirato aureo che governò l'epoca eroica del cemento armato insieme con Pier Luigi Nervi e Silvano Zorzi, in una nazione che ha la stessa età dell'Italcementi Spa (fondata nel 1864)”.
Un diamante in un’epoca d’oro
Tempi un cui si viveva “l'impetuosa corsa verso la modernizzazione italiana insieme a tutti gli altri attori di quel periodo irripetibile che vide il fiorire di decine di grandi progettisti, da Franco Albini a Marco Zanuso, l'epoca aurea insomma degli Enrico Mattei e Adriano Olivetti”.
Un capitalismo creativo, detta in sintesi, che sapeva poggiarsi su una dimensione pubblica dell’economia grazie ad una società civile in grado di sfornare teste pensanti, che tra pubblico e privato erano in grado di muoversi a loro agio.
Basta giudizi superficiali, leggete i libri
Insomma, “Morandi era una punta di diamante del suo tempo, giudicarlo con i criteri di oggi è quanto di più superficiale si possa fare”.
Ecco qual è il punto, secondo il Foglio: nell’addossare al progettista la colpa del disastro si pecca perlomeno di faciloneria, se non peggio. Eppure così sta facendo anche una serie di opinion-leader, tanto televisivi quanto della carta stampata.
Per rispondere il quotidiano fondato da Giuliano Ferrara usa, quasi a provocazione, le parole di un libro. Quello scritto da Marzia Marandola, “storica dell'architettura della Sapienza (ma dottore di ricerca in ingegneria edile)”. Si tratta di “un libro che andrebbe fatto leggere non nelle scuole ma nel Consiglio dei ministri col fucile spianato” e si intitola “La costruzione in precompresso. Conoscere per recuperare il patrimonio italiano (Il Sole 24 Ore, 2009)”.
Il cantiere tra le nuvole
Scrive Marandola: “Il concorso del ponte sul Polcevera Morandi lo ha vinto con Condotte Spa non solo per i bassi costi di realizzazione per quello che comunque è il ponte più lungo d'Italia, ma anche e soprattutto per la concezione inaudita di un cantiere sospeso che poteva avanzare insomma senza bloccare Genova e la Liguria, ma soprattutto la zona portuale adiacente”.
Ma allora perché si è arrivati al crollo? Risposta: “È chiaro che l'usura e il carico aumentato oltre le previsioni già dieci anni dopo la costruzione hanno reso difficile persino la manutenzione di un sistema così perfettamente calibrato che non è regolabile”.
"Un giornalismo tecnicamente populista"
Chiosa a questo punto il quotidiano: “L'istinto giornalistico che riversa la colpa sul progettista, deresponsabilizzando tutti gli altri, è tecnicamente populismo”
Anche perché di controlli – autentici – Morandi ne avrebbe superati anche in vita. Anzi, “Morandi è stato marcato stretto dai controlli, ad esempio da Franco Levi, luminare torinese di scienza delle costruzioni, che fu incaricato dal Cnr di creare un centro studi sulle coazioni elastiche. Cioè un osservatorio ad personam”. Risultato: “Ne nacque un dialogo a distanza, se non un'amicizia, fatta di lettere, di scambi di opinioni, di visite in cantiere e di discussioni che fecero dialogare pratica e teoria, accademia e professione, tradizione e avanguardia, elaborando così le prime normative di settore”.
Normative magari da aggiornare.