AGI - L'attentato contro Giovanni Falcone si consumò in un contesto d'incapacità e complicità che va ben oltre il livello della mafia, in un quadro, certificato da una sentenza, di "colossale depistaggio".
Il 23 maggio del 1992 Falcone, direttore degli Affari penali del ministero di Grazia e Giustizia e candidato alla carica di procuratore nazionale antimafia, era appena atterrato all'aeroporto di Punta Raisi con la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato. Pochi minuti dopo 500 chili di tritolo piazzati dentro un canale di scolo esplosero mentre transitavano le Croma.
La prima auto blindata - con a bordo i poliziotti Antonino Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo - venne scaraventata oltre la carreggiata opposta di marcia, su un pianoro coperto di ulivi. La seconda Croma, guidata dallo stesso Falcone, si schiantò contro il muro di detriti della profonda voragine aperta dallo scoppio. L'esplosione divorò un centinaio di metri di autostrada.
Ieri come oggi da portella della Ginestra all'arresto ma prima ancora latitanza di Matteo Messina Denaro le stragi e il sangue squarciano la tranquillità dell'innocenza degli italiani. Più passano gli anni più comprendiamo che le stragi del '92 e del '93 non sono soltanto dei casi isolati ma sono dei capitoli drammatici della storia della lotta per il potere che in questo paese è stata condotta sin dall'inizio della Repubblica non solo con metodi legali ma anche ricorrendo a stragi omicidi sangue e soprattutto tanta, tanta confusione.
Questo è il primo episodio di 'Traditori', il podcast tratto dal libro omonimo di Paolo Borrometi edito da Solferino e racconta ciò che successe prima della strage di Capaci e dopo, tra false piste, misteri e figure evanescenti e incomprensibili che appaiono e scompaiono sulla scena