Nell’Arcipelago toscano da maggio a settembre 2018 sono state 1,8 le tonnellate di rifiuti raccolte dai fondali marini. Altre 1,6 tonnellate sono state recuperate a Terracina (Lt) nel Lazio, in due mesi di attività. Passando dal Tirreno all’Adriatico, anche a Manfredonia, in Puglia, va in scena questa particolare attività di pesca a strascico: oltre a catturare pesci, i pescatori tirano infatti su dalle reti rifiuti di ogni tipo, dalle reti per la coltivazione delle cozze a bottiglie di plastica, addirittura pneumatici. In una sola giornata sono state oltre 390 i chili di rifiuti riportati a terra. Sono alcuni dei numeri letti sul rapporto di Legambiente esposto a Rimini, durante la ventiduesima fiera internazionale del recupero di materia ed energia e dello sviluppo sostenibile Ecomondo.
Numeri da brividi. Una situazione di fronte alla quale si resta praticamente impietriti, come se quella plastica arrivasse da una dimensione parallela e noi non potessimo fare altro che stare a guardare. Invece è tutta roba nostra. Continua il rapporto:
"Quello che vediamo galleggiare sulla superficie del mare e arenarsi sulle spiagge è, purtroppo, solo la punta dell’iceberg di un problema ben più complesso che giace soprattutto sui fondali marini. Secondo le stime, sono 8 milioni, infatti, le tonnellate di rifiuti che ogni anno finiscono nei mari e negli oceani del mondo. Parliamo di un camion al minuto, e di questi, almeno il 70% affonda".
Un vero disastro che dovrebbe imbarazzare l’essere umano per ciò che sta facendo a sé stesso. Verrebbe lo sconforto se non fosse per persone come Francesco Nanni, che ha deciso di investire la propria vita sull’educazione alla salvaguardia del mare. Francesco ha fatto della lotta alla plastica che inquina i mari una ragione di vita.
Romano, studi in biologia e geologia alla Carleton University di Ottawa, in Canada. Interrotti gli studi, ha passato la sua vita in mare, lavorando su imbarcazioni private e charter nel Mar Mediterraneo. Poi la decisione di stabilirsi sull’isola di Carriacou, nell’arcipelago caraibico delle Grenadine, dove è rimasto per quasi 15 anni.
Dopo il ritorno in Italia, l’apertura di un B&B a Roma, prima del ritorno in Canada, siamo nel 2015, giusto il tempo di costruirsi una barca, una volta finita ci attraversa l’Oceano fino a rientrare nel nostro paese, sponda Orbetello, per fondare The Blue Dream Project ed è questa che diventa la sua vita e la sua missione.
The Blue Dream Project è una associazione ambientale marina Canada-Italia che - leggiamo sul sito - desidera promuovere l'istruzione ambientale fornendo spedizioni, stage, workshop, seminari, conferenze al pubblico ed eventi artistici, con particolare attenzione ai giovani, sul tema dell'inquinamento plastico e di altre forme di inquinamento del mare. Desideriamo inoltre promuovere l'istruzione intraprendendo e pubblicando ricerche sull'impatto attuale e futuro dell'inquinamento plastico e di altre forme di inquinamento degli oceani sugli ecosistemi marini e sull'uomo e per proteggere l'ambiente a beneficio del pubblico.
Come le è venuto in mente di cambiare vita per dedicarsi alla salvaguardia del mare?
"Il mare è sempre stato il mio amore, la mia passione. Mi sembrava opportuno dedicare un po' di tempo ed energie a qualcosa di più positivo per il nostro mondo. Mi sembra che molte persone sprecano i loro talenti e le loro risorse in cose che sono spesso addirittura devastanti, nocive, per la nostra terra e non ha senso. Quindi guardare un po' in faccia la realtà e vedere cosa si possa fare di positivo. Poi, ovviamente, la persona da sola non è che può far tanto, però 1+1 fa 2 e così via. Io credo che se ognuno di noi fa un passo verso una direzione poi tutti insieme possiamo fare la differenza. Questa è un po' la mia filosofia, quello che mi ha spinto a fare questo passo".
L’ultimo rapporto di Legambiente è allarmante. Cosa sta succedendo?
"Il mare sta soffocando. Sta soffocando perché noi siamo riusciti a sbilanciare tutti gli ecosistemi possibili e con questo in realtà poi diminuisce vertiginosamente la produzione di ossigeno, che poi ovviamente si rifletterà su di noi. Quindi, che dire?, non so se sia troppo tardi, è possibile, però non possiamo non fare qualcosa, non cercare di fermarci e porre rimedio".
Cosa può fare una singola persona per questa situazione?
"Secondo me dobbiamo cercare in tutti i modi di ridurre il nostro consumo di plastica monouso. Non è una cosa facile ma se tutti cominciamo ad arrivare in cassa al supermercato senza le banane nel sacchetto di plastica, senza le mele nel sacchetto di plastica…io quando vado al supermercato prendo le cose, le peso e ci attacco direttamente lo scontrino con il prezzo sopra. Alcuni supermercati obiettano, altri invece già si stanno abituando ed io spero che questo possa portare a fare un passo indietro e anche più di un passo indietro. Sicuramente mai comprare frutta e verdure già impacchettate, quella è un’abitudine da condannare, è veramente intollerabile. Tutta la frutta e la verdura che conosciamo sono già tutte protette, non hanno bisogno di un’altra protezione. Goccia su goccia dovremmo cercare di fare qualche passo indietro nel tempo, perché quando ero piccolo io non esisteva tutto ciò e si viveva tranquillamente, non c’era la necessità, adesso sempre una necessità primaria ma non è assolutamente così".
Lei ci crede? Crede davvero che l’uomo possa invertire la rotta?
"Assolutamente sì, lo stiamo vedendo un po', per esempio, con il biologico. Il biologico dieci anni fa era una cosa un po' da fighetti, un po' d’elité, ancora un pochino lo è ma semplicemente perché la produzione di frutta e verdure biologiche è più costosa e normalmente viene fatta in piccola scala, in scala non industriale. Però sta aumentando notevolmente la domanda e quindi l’offerta, ognuno di noi è responsabile per la domanda che creiamo e quindi l’offerta alla quale i produttori rispondono. Certo sarebbe più facile se arrivasse un legislatore che dicesse “Adesso non si fa più questo, è tutto vietato”. Per esempio, molte delle plastiche cosiddette “biodegradabili” o “riciclabili” in realtà sono comunque plastiche, quindi polimeri, che caratterizzano la plastica, sono fatti da sostanze tipo il mais, ma non penso che siano davvero 100% biodegradabili.
"È un po' come l’olio d’oliva; l’olio d’oliva se c’è almeno il 10% di olio di oliva italiano allora uno può mettere “prodotto in Italia”, poi magari il restante 90% invece viene dalla Tunisia. E quindi ci sono questi cavilli legali, anche per i prodotti, comprese secondo me anche le buste di plastica, non ne ho la prova, non ho ancora fatto gli esperimenti per verificare però temo che sia un po' così. Io non credo molto nel riciclo, nella raccolta differenziata, perché secondo me diventa un po' una licenza per consumare tutto quello che vogliamo perché pensiamo “Tanto poi viene riciclato”. Poi sentiamo di capannoni pieni di plastica che vanno a fuoco o di tutta questa plastica da riciclare che viene trasportata fino in Cina, per poi essere messa in produzione…insomma, non mi sembra assolutamente la risposta giusta".
Il suo progetto di educazione alla salvaguardia del mare l'ha riportata in Italia, ma come lavorate con il progetto che ha fondato?
"In realtà non pensavo di rientrare in Italia, pensavo di rimanere in Atlantico e fare spedizioni lunghe, poi ho pensato che tutto sommato il Mediterraneo è assolutamente sofferente e c’è una densità di popolazione che magari lavorando qui si può riuscire a toccare un maggior numero di “anime”. Le attività che stiamo facendo sono gite ambientali all’interno delle quali si fa una campionatura dell’acqua per verificare la concentrazione di microplastica e quindi si cerca di far partecipare le persone che stanno a bordo a vedere, perché guardando il mare sembra tutto così pulito, in realtà è pieno di pezzettini di plastica.
"Poi alcuni giorni ce n’è di più, altri di meno, quindi non è sempre efficace come impatto, perché chiaramente quando facciamo una campionatura e ritroviamo 4/5 pezzettini, non è facile capire che anche quei 4/5 pezzettini indicano che è veramente dappertutto la plastica. Questo è quello che facciamo con la barca. Abbiamo fatto anche due spedizioni insieme a dei ricercatori dell’Ispra, per la verifica di un protocollo di monitoraggio per la macroplastica. Diciamo che per noi tutto ciò che può essere sensibilizzazione e ricerca, tentiamo di farlo, sicuramente la ricerca è un settore un po' più specializzato e una barca come la nostra non è adatta, ma il fuoco della nostra missione è la sensibilizzazione. Io vorrei che tutti si rendessero conto che pochi semplici accorgimenti possono fare una grande differenza".