Più che le elezioni e l'inedita affermazione di CasaPound, è stata la brutale aggressione di Roberto Spada, membro di una famiglia sinti considerata vicina ai Casamonica, ai danni di un giornalista della troupe di Nemo a portare all'attenzione dell'opinione pubblica nazionale il fitto tessuto criminale che avvolge il X Municipio di Roma. Racket delle case popolari, estorsioni, spaccio di droga e affari delle cosche mafiose. Perché a Ostia c'è la mafia. Ne è convinta la Procura di Roma, lo certificano numerose sentenze anche se a volte con esiti contrastanti. Ma le indagini delle forze dell'ordine degli ultimi anni sembrano effettivamente confermare che quel tratto di litorale alle porte della Capitale da lungo tempo ormai è in mano a famiglie che si spartiscono il territorio controllando ogni attività economica, gestendo gli appalti, vessando e costringendo al silenzio i cittadini onesti, e infiltrandosi nei gangli della pubblica amministrazione locale.
Questi i risultati investigativi e processuali di maggior rilievo dell'ultimo quinquennio:
L'operazione Nuova Alba
Il 26 luglio del 2013, un'operazione della squadra mobile, denominata 'Nuova Alba', culmina con l'arresto di 51 persone, molte delle quali finite in manette per associazione di stampo mafioso. L'indagine porta alla luce tutti i passaggi criminali dei vari affari delle organizzazioni: dall'ingresso di un nuovo appartenente, agli accordi tra i capi per la spartizione del litorale, alle riunioni effettuate per dirimere le controversie sorte nella gestione del territorio, alla pianificazione di omicidi o tentati omicidi necessari per garantire e ripristinare la supremazia su qualsiasi attività realizzata. Il blitz colpisce l'intera famiglia dei Fasciani, a partire dal capo indiscusso Carmine, ai fratelli Nazzareno, Giuseppe e Terenzio, oltre a quella dei Triassi, con i fratelli Vito e Vincenzo, appartenenti al clan mafioso dei Cuntrera-Caruana, che da anni si sono trasferiti a Ostia mantenendo un legame inscindibile con Cosa Nostra siciliana. Nell'ambito di una sorta di 'pax mafiosa', i due gruppi criminali hanno fatto affari in tutta tranquillità.
Il pentito mandato a Ostia per uccidere
Il 20 febbraio del 2014, a conferma dei sospetti investigativi, ci sono le dichiarazioni rese in aula davanti alla corte d'assise di Roma da Gaspare Spatuzza, reggente della famiglia di Brancaccio, approdato a Ostia nel 1995 e diventato poi collaboratore di giustizia. Era stato mandato nella capitale "per risolvere un problema": avrebbe dovuto uccidere i vertici della famiglia agrigentina Triassi per agevolare la scalata dei Fasciani-Spada alleati di Cosa Nostra. Ma Spatuzza venne meno all'incarico, una volta appreso che i Triassi erano legati al potente clan dei Caruana-Cuntrera. "Fu un corleonese trapiantato a Roma a dirmi che a Ostia erano i padroni e che andavano eliminati", ha raccontato il pentito. Lui ci pensò su, chiese consiglio a un altro padrino e decise di rinunciare. Il risultato fu che, secondo la Procura, dopo una dozzina di anni, tra i Triassi e i Fasciani si stabilì un patto di non belligeranza con tanto di spartizione degli affari sul litorale.
Il 13 giugno del 2014 si chiude davanti al gup, con cinque condanne per complessivi 18 anni di carcere (rispetto ai 64 chiesti dalla Procura) e quattro assoluzioni, il processo con rito abbreviato a nove persone accusate di essere in affari con la famiglia Fasciani che controllava tutto il litorale. Associazione mafiosa e intestazione fittizia di beni i reati contestati. Otto anni di reclusione, la pena più alta, accompagnata dalla confisca di alcuni esercizi commerciali, come Il Porticciolo, Malibù Beach, Emmediesse e Dr Fish.
Pizzo e usura sul litorale
Il 30 gennaio del 2015, i giudici della decima sezione penale del tribunale di Roma (con presidente Rosanna Ianniello, la stessa che non ha riconosciuto lo scorso luglio il 416 bis nel processo al 'Mondo di Mezzo' di Massimo Carminati e Salvatore Buzzi) infliggono oltre 200 anni di carcere a 14 imputati accusati di aver fatto parte di un'organizzazione criminale di stampo mafioso che a Ostia imponeva il pizzo ai commercianti a forza di intimidazioni, attentati incendiari, attraverso l'uso delle armi e portando avanti una attività di usura. Decimato il clan Fasciani, sono stati risparmiati i fratelli Vito e Vincenzo Triassi. Carmine Fasciani, ritenuto il capo del clan, è stato condannato a 28 anni di reclusione, la moglie Silvia Bartoli a 16 anni e 9 mesi, il figlio Terenzio a 17 anni, le figlie Sabrina (25 anni e 10 mesi) e Azzurra (11 anni) e il nipote Alessandro a 26 anni.
L'8 ottobre del 2015 un altro collegio del tribunale si occupa di Fasciani e del suo clan, riconoscendo l'aggravante del metodo mafioso nel reato di intestazione fittizia di beni, con riferimento a stabilimenti balneari, chioschi-bar, esercizi di ristorazione, società, auto, concessionarie e immobili intestati a 'teste di legno' (consapevoli e complici) ma in realtà riconducibili alla famiglia che domina Ostia. Vengono condannate dodici persone, tra cui, ancora una volta Carmine Fasciani (10 anni), Silvia Bartoli (8 anni) e la figlia Azzurra (7 anni).
Gli affari del clan Spada
Il 12 aprile 2016, nel corso di una conferenza stampa legata all'operazione "Sub Urbe" che ha portato dieci persone del clan Spada in carcere, il procuratore aggiunto di Roma, Michele Prestipino, coordinatore dell'attività della Dda, parla di Ostia come "di un territorio complicato dal punto di vista investigativo. Ma importante è stata la collaborazione di soggetti della cosiddetta parte perdente le cui dichiarazioni hanno permesso di ricostruire l'aspetto criminale del territorio. È importante che a Ostia ci siano persone che compiono il salto da una parte all'altra, passando dall'illegalità allo Stato". Al centro degli accertamenti investigativi, la gestione da parte della famiglia Spada delle assegnazioni degli alloggi popolari.
Il 13 giugno 2016, ribaltando quanto deciso in primo grado, la seconda corte d'appello di Roma non riconosce l'associazione di stampo mafioso e l'aggravante del metodo mafioso nel processo che chiama in causa le famiglia Fasciani e Triassi. Quella che ha 'regnato' a Ostia per anni è solo un'associazione per delinquere semplice, hanno sentenziato i giudici di secondo grado, confermando l'assoluzione dei fratelli Vito e Vincenzo Triassi.
Il 16 dicembre 2016, approda in appello e si chiude con un lieve sconto di pena il processo agli esponenti del clan Fasciani di Ostia accusati di intestazione fittizia di beni, con l'aggravante del metodo mafioso, con riferimento a stabilimenti balneari, chioschi-bar, esercizi di ristorazione, società, auto, concessionarie e immobili attribuiti a 'teste di legno' ma in realtà riconducibili alla famiglia. Otto anni e mezzo di reclusione vanno a Carmine Fasciani, 6 anni e mezzo alla moglie Silvia Bartoli e 5 anni alla figlia Azzurra.
Il 16 ottobre del 2017, nuovo colpo di scena, con la decisione della sesta sezione penale della Corte di Cassazione di annullare con rinvio la sentenza del 13 giugno 2016, facendo rivivere di fatto l'accusa di associazione di stampo mafioso nei confronti degli esponenti della famiglia Fasciani. Ci sarà dunque un nuovo processo da celebrare davanti ad altra sezione della corte d'appello di Roma.