Un documento riservato del ministero della Salute e pubblicato da La Stampa svela che nelle aziende ospedaliere italiane c’è un buco da un miliardo e mezzo, ripartito tra 42 nosocomi dei 100 d'Italia. Mentre altri 9 hanno i conti in ordine ma non garantiscono i livelli essenziali di assistenza.
Come è stato calcolato il debito
Le perdite sono state quantificate valutando entrate da una parte e valore delle prestazioni sanitarie fornite dall’altra, senza conteggiare quei contributi regionali che spesso finiscono per nascondere i deficit sotto il tappeto. Il tasso di obsolescenza delle strutture, dice l’ultimo rapporto Oasi della Bocconi tanto per dire, è del 29%, mentre quello dei macchinari come Tac e risonanze, è addirittura del 74%.
Metà del deficit è in 3 regioni
Il record delle perdite ce l’ha la Campania, con oltre 350 milioni, 102 dei quali del solo Cardarelli di Napoli. Segue poi a ruota il Lazio, dove il buco è di 257 milioni, 77 dei quali attribuibili all’ospedalone romano San Camillo-Forlanini. Al terzo posto della classifica si piazza la Sicilia, con 231 milioni. In pratica tre sole regioni generano ben oltre la metà del deficit ospedaliero nazionale. Segue poi la Lombardia con otto ospedali che sommano un rosso da 216 milioni. Al quinto posto il Piemonte con 163 milioni, tutti attribuiti alla Città della Salute di Torino.
- Campania - 350 milioni
- Lazio - 257 milioni
- Sicilia - 231 milioni
- Lombardia - 216 milioni
- Piemonte - 163 milioni
La contraddizione con i bilanci in attivo
In circa 10 anni Asl e ospedali sono passati da una perdita di 5,7 miliardi a un attivo di quasi 400 milioni. Non è solo merito della lotta agli sprechi: nello stesso arco di tempo le addizionali regionali sull’Irpef hanno subito un’impennata del 59%, passando da un gettito di 7,4 miliardi a uno di 11,8, che è costato in media 158 euro a testa. Di più per chi abita in regioni in piano di rientro dai deficit sanitari. Quindi il grosso della falla lo si è tamponato aumentando le tasse. Ma anche tirata la cinghia, risparmiando soprattutto su personale sanitario e farmaci, per i quali la spesa ha fatto il passo del gambero, diminuendo rispettivamente dell’1,2 e del 5,5%.