AGI –“La reintroduzione dell’appello è sostanzialmente ininfluente sulla situazione attuale. Accompagnandosi al ritorno alla decisione monocratica, e non più collegiale, come oggi, dei ricorsi da parte del tribunale, consentirà a questo di elevare un po’ i suoi numeri, spostando la collegialità in appello”. È la valutazione in un’intervista all’AGI del magistrato Guido Vannicelli, presidente della sezione specializzata in materia di immigrazione e protezione internazionale del Tribunale di Milano, sul possibile e discusso ripristino del reclamo sui provvedimenti del Tribunale in materia di protezione internazionale e speciale dei migranti.
“L’effetto complessivo, essendo comunque necessariamente mantenuto anche il ricorso per Cassazione, non sarà certamente acceleratorio - prosegue -.Tutto questo non interesserà però le migliaia di ricorsi pendenti oggi perché si applicherà solo a quelli proposti dopo la legge di eventuale conversione dei due decreti legge. Diverso è il discorso dell’affidamento in unico grado ai giudici della Corte d’Appello delle convalide dei trattenimenti nei centri di permanenza per il rimpatrio, introdotto dal decreto legge 145, sul quale si è espresso con chiarezza il Presidente della Corte d’Appello di Milano Giuseppe Ondei. In generale, se i flussi non rallentano alla fonte, che mi pare l’obiettivo della Commissione UE e di molti Governi europei, fra cui quello italiano, creando nei Paesi di partenza le condizioni che invoglino i maschi giovani che costituiscono la stragrande maggioranza dei nostri ricorrenti a non lasciare la propria patria, per poi spesso ‘chiamare’ il resto della famiglia quando riescono a ottenere un titolo di soggiorno, questa migrazione epocale non potrà mai essere gestita in modo regolare e ragionevole”.
Gli effetti del reclamo in corte d'Appello
Nei giorni scorsi i 26 presidenti delle Corti d’Appello italiane, tra i quali Ondei, avevano espresso “grande preoccupazione per la reintroduzione del reclamo in Corte d’Appello avverso i provvedimenti in materia internazionale, con la proposta di attribuire alle Corti d’Appello la competenza per i provvedimenti di convalida del trattenimento dei richiedenti asilo”.
In questo momento in Tribunale a Milano c’è una quantità di ricorsi pendenti che mettono a dura prova la sezione guidata da Vannicelli secondo il quale l’aumento delle pratiche non dipenderebbe da leggi più restrittive ma dall’intensificarsi dell’immigrazione irregolare.
“Premessa: tutte le norme principali in materia vengono dall’Unione Europea, non dal Parlamento italiano che anche in ciò ha pochissimo spazio di manovra tra cui la designazione, lasciata oggi a ciascuno Stato membro, dei Paesi di emigrazione ‘sicuri’ la provenienza dai quali consente una procedura accelerata. Ciò accade poiché l’UE non ha una lista centrale dei Paesi di origine ‘sicuri’ che a quel punto nessun giudice nazionale potrebbe più mettere in discussione. Il nuovo Patto per la migrazione e l’asilo, promosso dalla stessa maggioranza che governa oggi come ieri l’Unione, renderà peraltro dal giugno 2026 regola, e non più eccezione, quella procedura accelerata di frontiera fondata anche sulla provenienza da Paesi di origine sicura, che alcune corti di merito italiane stanno sostanzialmente disapplicando ritenendola contraria proprio al diritto eurounitario”.
Questa procedura, spiega Vannicelli, “sarà applicata a tutti i richiedenti asilo provenienti da Paesi per cui la percentuale di accoglimento delle domande di asilo risulti su scala europea inferiore al 20%, tra i quali oggi sia il Bangladesh che l’Egitto, Paesi di migrazione principalmente economica interessati dai noti provvedimenti romani di ‘non convalida”.
Il nodo della protezione internazionale
Il giudice chiarisce perché dalla sua prospettiva la montagna di ricorsi pendenti che continua a elevarsi trovi la propria radice nell’aumento degli arrivi irregolari. “Chi organizza i viaggi degli immigrati gli dice che all’arrivo devono dichiarare, per non essere immediatamente espulsi, di voler richiedere la protezione internazionale. E poiché questo genere di domanda è in gran parte respinto dalle Commissioni territoriali, dato che il bisogno economico non è considerato dalla Convenzione di Ginevra del 1951, e quindi dalla legislazione eurounitaria che lo attua, una causa di asilo, l’unico modo di riuscire a rimanere sul territorio italiano consiste, come avviene per circa il 95% dei rigetti, nell’impugnare la decisione negativa della Commissione in Tribunale, che ne viene quindi sommerso. In concreto, davanti alla Commissione territoriale di Milano, che è il giudice di prima istanza, nel primo semestre 2024, si è registrato un tasso di accoglimento inferiore al 25% e su 5.006 istanze sono stati riconosciuti solo 244 status di rifugiati e 520 altre protezioni maggiori sussidiarie. Quindi: più arrivi ‘extra flussi’, più domande di protezione internazionale; più domande di protezione infondate, più ricorsi alla Sezione specializzata del Tribunale”.
La lista 'Paesi sicuri'
L’allungamento della lista dei Paesi ‘sicuri’ ha però l’effetto di innalzare, afferma Vannicelli, il numero delle cosiddette ‘sospensive’.“Insieme al ricorso contro il diniego emesso dalla Commissione territoriale, il cittadino straniero proveniente da uno di quei Paesi che non avrebbe automaticamente diritto a permanere sul territorio nazionale chiede al Tribunale in via urgente di sospendere gli effetti della decisione impugnata così da poter rimanere in Italia sino alla decisione del ricorso.Vale a dire per anni, tenuto conto che la Sezione specializzata di Milano ha un tempo medio di decisione finale nel merito di oltre 1.000 giorni. Quindi, più Paesi ‘sicuri’, più decisioni di manifesta infondatezza da parte delle Commissioni territoriali di primo grado; più domande incidentali di sospensione del provvedimento di diniego impugnato, che costituiscono indubbiamente per la Sezione un ulteriore aggravio”.
I numeri indicano una profonda ‘sofferenza’ nella gestione maturata nel corso di molti anni. “Il boom è stato, a seguito degli arrivi via mare del biennio 2016-2017, nel 2019: anno in cui, essendosi organizzate con massicce assunzioni, a differenza dei Tribunali, le Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale che dipendono dalla Commissione nazionale per l’Asilo, si sono rovesciati sul Tribunale di Milano 7.874 ricorsi in materia di protezione internazionale. Il potenziamento dell’organico del Tribunale, tuttora in corso, è stato molto lento, sicché a oggi i ricorsi presentati in quell’anno non sono ancora stati tutti definiti. E nel frattempo, ne sono ovviamente arrivati migliaia di altri: con una forte diminuzione nel periodo Covid, ma un successivo aumento sino alla riesplosione nel 2024, dovuta agli arrivi del 2023. Alla fine di settembre 2024 i ricorsi in materia di protezione internazionale erano già quasi 4.500. Data la forte diminuzione degli arrivi nel 2024, ci dovrebbe essere una significativa flessione nel 2025: al netto però della ‘migrazione interna’ che interessa Milano, perché molti stranieri, pur essendo destinati, al loro arrivo, in strutture di accoglienza di tutta Italia, si dirigono lo stesso su Milano e la Lombardia dove sperano di trovare più occasioni di lavoro. Essendo cronicamente negativo, nonostante la straordinaria produttività dei giudici della Sezione, che esauriscono -e si esauriscono- circa 3.600 fascicoli all’anno, il saldo tra ricorsi sopravvenuti e ricorsi definiti, l’attuale pendenza veleggia ormai quindi verso le 13.000”.
Il ricorso alla corte di Giustizia Europea
Condivide la decisione dei giudici di Bologna di rivolgersi alla Corte di Giustizia Europea? “Seguiamo con attenzione i rinvii pregiudiziali di alcune delle 26 Sezioni specializzate italiane e ci adegueremo a quanto la Corte di Giustizia Europea, rispondendo, dirà anche a noi. A titolo strettamente personale e non a nome della sezione che presiedo, ho qualche dubbio sul fatto che, avendo il Governo utilizzato in via istruttoria le ‘Schede Paese’ predisposte per ogni Paese ‘sicuro’ delle competenti direzioni generali del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale, alcune delle quali suggerivano delle eccettuazioni alla generale ‘sicurezza’ di quello Stato per determinate categorie di suoi abitanti, tipo le persone di orientamento non eterosessuale o gli appartenenti a certe minoranze religiose, allora le successive designazioni di quei Paesi come ‘sicuri tout court’ vadano considerate come se in realtà eccettuassero espressamente quelle categorie dalla valutazione di sicurezza. Altre normative europee, come, ad esempio, quella olandese e lussemburghese, prevedono infatti, a differenza di quella italiana, eccezioni ‘soggettive’ espresse direttamente nel testo della norma. La questione sottoposta alla Corte di giustizia è se le ‘designazioni eccettuate’ per categorie soggettive di Paesi di origine sicura siano conformi al diritto eurounitario, sul presupposto -che non mi pare univoco- che anche le designazioni italiane siano tali.Piuttosto, infatti, le indicazioni che si traggono dalle schede del Ministero utilizzate dal Governo e se il decreto legge 158/2024 sarà convertito dal Parlamento, possono essere intese come traccia per il giudizio sulle singole posizioni, essendo già ora insito nel sistema che ogni migrante proveniente da un Paese ‘sicuro’ possa spiegare che quel Paese non è in concreto sicuro per lui perché, ad esempio, cristiano od omosessuale”.
Il tribunale di Bologna aveva chiesto in uno dei quesiti alla Corte se la designazione di ‘Paese sicuro’ fosse consentita anche in presenza di persecuzioni e di gravi pericoli nei confronti di alcuni specifici gruppi sociali, come per esempio le persone LGBTQI+.