AGI - Adnan Siddique, Mohamed Mouna: sono tanti i migranti nelle campagne siciliane che, come il sindacalista pachistano e il bracciante marocchino uccisi, non sono disposti a tollerare lo sfruttamento del caporalato; ma chi denuncia, e dunque emerge alla luce dal buco nero dello sfruttamento, finisce per sparire nel nulla, reso "invisibile" da uno Stato che non lo protegge e, anzi, spesso gli fa recapitare un decreto di espulsione. "E' un meccanismo perverso", ha spiegato Giuseppe Bucalo, dell'associazione Penelope, presentando la campagna 'SiciliaSfruttaZero' piattaforma messa in piedi "per la prima volta" da un cartello di associazioni (oltre a Penelope, anche Arci, Coordinamento solidarietà sociale Ets, e Senza Rete), sindacati (Flai Cgil), Centro Studi Pio La Torre, Legacoop Sicilia, rete Fattorie Sociali Sicilia per una lotta al caporalato che tenga conto delle condizioni di vita reali di chi fa un passo verso la legalità e la libertà dallo sfruttamento.
"Ci vogliono eventi tragici e irreversibili come la morte di Mohamed Mouna - ha ribadito Bucalo - perché le istituzioni si avvedano che a Ciappe Bianche (la baraccopoli a Paternò nel Catanese in cui è maturato l'omicidio, ndr) - non abbiamo a che fare con persone irregolari o dedite ad atti illegali, ma con vittime e corpi loro stessi di reati gravissimi sanzionati per legge". Le baraccopoli si abbattono "fermando lo sfruttamento del lavoro, non solo l'intermediazione illegale, ma la domanda di manodopera a buon mercato da parte delle aziende locali. Per farlo non si può espellere, mandare via e rendere sempre più vulnerabili i testimoni: bisogna ascoltarli, proteggerli e tutelare i loro diritti".
Servono, allora, altri strumenti, che la piattaforma propone alle associazioni datoriali, e sindacati da un lato e alle istituzioni dall'altro: un "codice giallo", prima di tutto, ovvero una procedura d'urgenza per le indagini giudiziarie su casi di sfruttamento e riduzione in schiavitù, che preveda tempi certi per il rilascio del nullaosta al permesso di soggiorno da parte della Procura; la creazione di Stp sociali, che permetta ai migranti irregolari di accedere ai servizi sociali di base; un reddito di emersione per il migrante vittima di sfruttamento nel tempo che corre tra identificazione e rilascio del permesso di soggiorno.
La premessa della piattaforma è che "non ci si trova davanti a criminali, ma con vittime di criminali" dal momento del loro arrivo nelle campagne. "Sono i caporali - ha aggiunto Bucalo - a dar loro una casa degradata, una baracca; una paga misera, un 'salario di piazza', e l'impossibilità di accedere ai servizi di base li consegna del tutto alla criminalità. Quando qualcuno di loro denuncia, bisogna far scattare subito un aiuto. Serve prevenire un eventuale loro coinvolgimento in circuiti illegali e agganciare le potenziali vittime".
Su 280 mila lavoratori irregolari in tutti i settori nell'Isola, quasi 62 mila sono le lavoratrici e i lavoratori irregolari nel campo dell'agricoltura; e di questi, 47 mila sono italiani e 14 mila stranieri. Lo sfruttamento del lavoro e il caporalato, soprattutto in agricoltura, sono quindi fenomeni ancora assai diffusi in Sicilia: 52 le aree interessate nell'Isola, soprattutto nel Ragusano. Al sud è concentrato anche il numero più alto di inchieste per sfruttamento: 252 i casi rilevati su 432 a livello nazionale, tra il 2011 e il 2023. Alla Puglia (99 casi di sfruttamento) segue la Sicilia (62 casi).
"La produzione del cibo, bene primario, nella nostra regione come in tutto il Paese non può essere macchiata dallo sfruttamento o dal sangue delle lavoratrici e dei lavoratori - ha detto Tonino Russo, segretario generale Flai Cgil Sicilia -. Serve una grande alleanza che va da chi la terra la lavora, a chi consuma i prodotti. Le proposte di SiciliaSfruttaZero puntano a dare sostegno ai tanti lavoratori sfruttati, spesso irregolari. Insieme possiamo sconfiggere sfruttamento e caporalato: facciamo appello a tutte le associazioni e organizzazioni perché aderiscano alla nostra iniziativa, e diano il loro contributo in questa battaglia".
L'Ispettorato del lavoro regionale può contare soltanto su 49 unità per controllare ogni azienda in tutta l'isola, di fatto "ogni realtà potrebbe ricevere un'ispezione soltanto ogni 25 anni", ha spiegato Russo. "Questo fa sì - ha aggiunto - che il lavoro sommerso e il caporalato siano fuori ogni controllo, e si crea un effetto contagio con l'intermediazione parassita che transita anche alle grandi imprese". "Legacoop Sicilia - ha sottolineato il suo presidente Filippo Parrino - ha aderito a questo cartello perché riteniamo che il rispetto dei diritti umani è il nostro primo scopo. E ribadire che le nostre cooperative operano senza sfruttare i lavoratori, di qualsiasi nazionalità essi siano; anzi, la concorrenza sleale arriva proprio da quelle aziende dove vige il caporalato".
Alle proposte se ne aggiungono altre sul lavoro agricolo di qualità, l'incontro trasparente tra domanda e offerta, e l'incentivazione dell'iscrizione alla rete del lavoro agricolo di qualità. Infine, sono richiesti incentivi alla responsabilità di impresa, un marchio etico, azioni per l'integrazione linguistica, per lo sviluppo dell'autoimprenditorialità e la creazione di un microcredito: tutti incentivi e azioni che possano rendere il lavoratore migrante, libero di investire sul proprio lavoro e trarne un reddito sufficiente. "Non riusciamo a fare un passo in avanti perché il mercato del lavoro italiano è uno dei peggiori a livello europeo; per tasso di evasione, sfruttamento, irregolarità, sia tra gli immigrati che tra gli italiani - ha spiegato Emilio Miceli, presidente del Centro Studi Pio La Torre - ma grazie a questo cartello potremo diventare concreti e portare avanti una battaglia comune".
Nel mirino di Miceli sono "le aziende con comportamenti irregolari, che sono anche quelle che hanno pessimi prodotti". Il sistema giudiziario avrebbe gli strumenti per intervenire, ma sembra restare silente, tranne qualche eccezione. E' stato Miceli a sottolineare i provvedimenti presi dal tribunale di Milano, quando questo ha costretto, mettendole sotto controllo giudiziario, grandi aziende della logistica a modificare i propri modelli organizzativi e lo stesso ciclo produttivo: bisogna usare lo strumento delle misure di prevenzione di fronte alla violazione delle norme sul caporalato".