AGI - Il consumo di antibiotici risale in Italia: lo scorso anno +6,4% rispetto al 2022. Lo dice il Rapporto OsMed 2023 sull'uso dei medicinali in Italia, redatto dall'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA). È ormai noto che la diffusione dei batteri resistenti agli antimicrobici è indicata dall'OMS come una delle grandi emergenze sanitarie, al punto che nel 2050 potrebbe provocare oltre 39 milioni di morti nel mondo. Ed è un problema che riguarda da vicino l'Italia, visto che ha la maggiore resistenza riscontrata in Europa (con 200mila pazienti l'anno colpiti da batteri resistenti) e che causa 11mila vittime.
Per questo desta preoccupazione la ripresa, a partire dal 2022, del consumo di antibiotici nel nostro Paese, che in un anno è per l'appunto salito del 6,4%. Il Rapporto dell'Aifa ci dice che lo scorso anno quasi 4 persone su 10 hanno ricevuto almeno una prescrizione di antibiotico, con livelli più elevati al Sud, dove il 44,8% della popolazione ne ha assunto almeno uno in corso d'anno, contro il 30,9% del Nord e il 39,9% del Sud. Differenze che fanno riflettere anche sull'appropriatezza delle prescrizioni e dei consumi.
È inoltre in costante, seppur lieve, la crescita del consumo degli antibatterici a prevalente uso ospedaliero. Sono ormai 10 anni che si registra un incremento. "Considerando che alcuni di questi antibiotici sono usati nel trattamento delle infezioni causate da microrganismi multi-drug resistant, tali dati - si legge nel Rapporto - suggeriscono la necessita' di migliorare la sorveglianza delle infezioni nosocomiali nelle strutture sanitarie, garantendo una risposta tempestiva e adeguata alle infezioni. Emerge, pertanto, la necessità di implementare programmi di 'Antimicrobial Stewardship' in particolar modo nelle popolazioni ad alta prevalenza d'uso per ottimizzarne il consumo e ridurre la resistenza antimicrobica". E a questo punto interviene anche il tema dell'appropriatezza prescrittiva. Una prescrizione farmacologica può essere considerata appropriata se effettuata all'interno delle indicazioni cliniche per le quali il farmaco si è dimostrato efficace ed autorizzato se vengono rispettate le sue indicazioni d'uso, in termini di dosaggio e durata del trattamento. Il Rapporto OsMed diffuso dall'Aifa evidenzia che c’è ancora da lavorare su entrambi i fronti.
In termini di appropriatezza prescrittiva e d'uso, informazioni utili vengono dai dati di consumo disaggregati per regione, che mostrano differenze che non trovano giustificazione nei dati epidemiologici, che in più di un caso evidenziano un uso maggiore in aree dove non risulta una più alta incidenza delle patologie per il quale il farmaco è indicato. Guardando appunto agli antibiotici si osserva che in Italia il consumo medio nel 2023 è stato pari a 17,2 dosi giornaliere per 1000 abitanti, con un consumo che è pero' di 14,5 dosi a Nord, di 20,3 al Sud e di 18,2 al Centro. Ancora più marcate le differenze se si vanno a osservare i dati delle singole regioni: si va dalle 11,1 dosi di Bolzano alle 22,4 dosi dell'Abruzzo, alle 21,7 della Campania e le 21,5 dosi della Basilicata.
Eppure non esistono studi che dimostrino una marcata prevalenza di ulcere peptiche e malattie da reflusso esofageo al Sud, dove ora si consumano 100,5 dosi giornaliere ogni 1000 abitanti di farmaci contro queste malattie, in particolare gli inibitori della pompa acida, contro il 70,7 al Centro e il 77 al Nord. Con differenze regionali che vanno dalle 122,4 dosi della Campania o le quasi 100 della Basilicata, per scendere della metà e oltre in Umbria (50,7), Bolzano (51,2) e Toscana (56,7). E per restare nelle diversità territoriali, anche il consumo di antidiabetici è ad esempio più alto al Sud (83,4 dosi giornaliere ogni 1000 abitanti contro le 64,5 del Nord e le 67,9 del Centro.
Differenze dovute a una maggiore prevalenza d'uso, che è del 7,7% della popolazione meridionale contro il 6,5% della media nazionale. L'Aifa precisa che benché tali dati evidenzino una profonda differenziazione tra le regioni del Sud e, in alcuni casi, anche del Centro, rispetto al Nord Italia, tuttavia "non possono essere interpretati esclusivamente come una generica inappropriatezza delle scelte dei medici, avulsa dalle caratteristiche del contesto assistenziale e sociale in cui si determinano". Infatti, "l'attività prescrittiva è la conseguenza e l'esito anche dell'interazione con i pazienti, dipende dalla fruibilità e dall'organizzazione dei percorsi assistenziali, accesso alla diagnosi e al monitoraggio dei trattamenti".