AGI - Vincenzo Coviello, il 52enne ex dipendente di Intesa San Paolo, licenziato ad agosto e indagato dalla procura di Bari per accesso abusivo ai sistemi informatici e tentato procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato in relazione alle intrusioni non autorizzate nei conti correnti di migliaia di persone (dalla premier ad alcuni ministri, oltre a diversi esponenti del mondo dello spettacolo e dello sport), avrebbe agito solo per motivi di curiosità, senza trasferire a nessuno le informazioni riservate di cui aveva preso visione.
E' quanto scriveva lo stesso dipendente in una lettera inviata all'istituto di credito lo scorso luglio per una richiesta di aspettativa non retribuita. Un'esigenza dettata dal fatto che Coviello, già sottoposto a un richiamo da parte del direttore di filiale, sentiva il bisogno di completare un percorso di supporto psicologico per guarire dalla sua "curiosità/compulsività", tanto da assumersi le "responsabilità per eventuali danni patrimoniali e reputazionali che la Banca fosse chiamata a risarcire a causa dei fatti posti alla base del procedimento disciplinare".
Coviello concludeva così: "Sono pentito di quello che è successo e chiedo scusa alla Banca, ai colleghi tutti, ai clienti, consapevole di aver sbagliato ma allo stesso tempo certo che quei dati da me visionati, non solo non sono stati trasferiti a terzi ma che ovviamente non sono nella maniera più assoluta tra i miei ricordi".
"E' spesso capitato - si giustificava in un altro passo della lettera - che parenti, conoscenti, vicini di casa, a volte anziani poco avvezzi all'uso della tecnologia, mi abbiano spesso chiesto la cortesia di verificare informazioni relative al loro conto corrente e che per non risultare scortese, nonostante il mio costante suggerimento di fare riferimento al proprio gestore, a volte non sempre facilmente raggiungibile con i tradizionali metodi di comunicazione di cui essi dispongono, mi sia prestato a dare corso alle loro richieste".
L'ex dipendente del gruppo bancario spiegava anche che "avendo lavorato i primi 12 anni" di carriera "nella mia città e in ben quattro filiali", gli è capitato spesso di dare aiuto ai propri familiari e conoscenti. Allo stesso modo, "ma come da prassi", "è spesso capitato che i nuovi gestori che hanno preso in carico i clienti da me gestiti mi abbiano contattato per avere informazioni" su ditte e società da lui gestite "durante i miei precedenti incarichi di Gestore Imprese presso la filiale di Barletta". Questo avrebbe portato Coviello "a fare degli inquiry (richiesta di informazioni su un conto o una transazione, ndr) al terminale per poter dare corso alle loro richieste". Inoltre, "aziende da me seguite nel corso degli anni su altre piazze, a volte mi hanno richiesto delle informazioni relative alla loro posizione, che mi hanno portato a fare degli inquiry e da me comunque sempre invitati a fare riferimento al proprio gestore". Coviello evidenziava, insomma, come fosse "abitudine quotidiana monitorare le posizioni aziendali da me gestite", "con l'obiettivo di assicurare una ottimale gestione del credito".
"Non nego che è stato molto difficile tenere a freno questa mia curiosità/compulsività" aveva ammesso Coviello. Dopo essere stato interpellato dal direttore della filiale" per alcuni nominativi oggetto di controllo, "conscio degli errori commessi", avrebbe provveduto "ad effettuare gli inquiry di nominativi strettamente necessari alle attività afferenti il proprio ruolo". Il "richiamo alla 'realtà" da parte del suo superiore sarebbe servito a Coviello a intraprendere il confronto con un medico specialista "grazie al quale ho cominciato a lavorare su me stesso", al fine di tenere "a freno questa mia 'compulsività' nell'effettuare nell'arco della giornata lavorativa, seppure per pochi minuti, queste attivita' di inquiry non sempre legate all'attività lavorativa specifica".
Successivamente sarebbe stato suggerito a Coviello, "per una ripresa ottimale della attività lavorativa", di richiedere un'aspettativa di 60 giorni per completare un percorso di conoscenza sul suo "modo di essere, affinchè ciò che è successo non accada mai più", e di poter rientrare a lavoro "magari anche con un cambio di mansione". Non è stato possibile: ad agosto il dipendente è stato formalmente licenziato.