AGI - Il terzo grado di giudizio ci sarà. Non soltanto per sottoporre a verifica di legittimità le otto condanne scaturite al termine del processo d'appello per la tragedia di Rigopiano (Pescara): anche la Procura generale ha depositato il suo ricorso contro le 22 assoluzioni che, a sette anni dall'evento, hanno ristretto il perimetro delle responsabilità penali ai soli livelli istituzionali di Comune di Farindola, Provincia e prefettura di Pescara. Smentendo i timori espressi nelle scorse settimane dal comitato dei familiari delle vittime, il procuratore generale Alessandro Mancini ha impugnato la sentenza della Corte d'appello con un corposo atto di ricorso che, in oltre cento pagine, mira a rimettere in gioco tutti i profili di responsabilità nella sciagura costata la vita a 29 persone e pesanti conseguenze fisiche agli 11 sopravvissuti. A partire dal depistaggio contestato ai vertici della prefettura e rimasto escluso dalla condanna in secondo grado dell'ex prefetto Francesco Provolo. Ma è in particolare sulle posizioni dei massimi dirigenti regionali del servizio di Protezione civile che il pg si dilunga per contestare in punto di logica la sentenza d'appello che ha escluso la responsabilità di Pierluigi Caputi, Carlo Visca, Emidio Primavera, Vincenzo Antenucci, Carlo Giovani e Sabatino Belmaggio.
Tornano in discussione sia la mancata realizzazione della Carta di localizzazione del pericolo valanghe, sia la prevedibilità dell'evento.
"Non è necessario - scrive il procuratore Mancini alla luce del consolidato orientamento della Cassazione - che il garante, per rispondere dell'evento, deve essere dotato di tutti i poteri impeditivi, essendogli richiesto di porre in essere solo quelli da lui esigibili". Premessa necessaria per arrivare alla conclusione che "è certo che il puntuale adempimento di quanto richiesto avrebbe senz'altro impedito il grave disastro. L'inerzia accertata è certamente un comportamento gravemente censurabile nel funzionario".
La sentenza d'appello viene censurata anche rispetto alla mancata considerazione delle evidenze probatorie emerse dal lavoro di consulenti tecnici e periti. Tra i punti fermi del processo c'è la prevedibilità dell'evento. "Una cartografia completa (sia Clpv e Clv) della zona - si legge nella perizia - se fosse stata disponibile all'epoca del fatto avrebbe certamente individuato un'area di espandimento comprendente l'Hotel Rigopiano".
Quanto al filone depistaggio, a parere della procura generale, la responsabilità dell'ex prefetto Provolo e dei funzionari non può essere esclusa alla luce della semplice assenza di richieste esplicite degli inquirenti sulla serie di telefonate con la richiesta di aiuto del cameriere d'Angelo; senza prescindere dal fatto che il semplice tacere è sufficiente per integrare l'ipotesi di reato, il ricorso pone in risalto la richiesta della squadra mobile di Pescara di fornire "documentazione relativa all'attività svolta dal Ccs e dalla suindicata sala operativa nella giornata del 18 gennaio 2017 con particolare riferimento a eventuali brogliacci di attestazione delle segnalazioni e delle richieste d'intervento ricevute".