AGI - Alessia Pifferi è "capace di partecipare coscientemente al processo" e "al momento dei fatti era capace di intendere e di volere". Lo ha stabilito lo psichiatra forense Elvezio Pirfo all'esito della perizia disposta dalla Corte di assise di Milano nell'ambito del processo a carico della donna accusata dell'omicidio pluriaggravato della figlia Diana di quasi 18 mesi abbandonata e lasciata morire di stenti nel luglio del 2022. Nelle sue valutazioni Pirfo ricostruisce anche la "motivazione principale" che muove Alessia Pifferi: "assecondare i suoi bisogni di donna e non i suoi doveri di madre, poiché ella sente e vive come prevalente la donna rispetto alla madre".
Quanto alla metodologia seguita per analizzare la personalità della donna, lo psichiatra ritiene che "la quantità di colloqui effettuati e la scelta di somministrare dei test psicodiagnostici risulta" una scelta "clinicamente 'non-appropriata' alla luce della sola sintomatologia disadattativa rilevata e dell'allocazione delle risorse professionali disponibili presso l'istituto stesso". Le conclusioni si riferiscono all'attività delle due psicologhe in servizio al carcere di San Vittore contestata dal pm Francesco De Tommasi e dai suoi consulenti che hanno portato a indagare le due professioniste con le accuse di falso e favoreggiamento nei confronti dell'imputata.
In uno dei colloqui sostenuti con lo psichiatria forense, Alessia Pifferi si è così giustificata: "Era come se la mia mente si annullava dal ruolo di mamma quando invece io ero una mamma protettiva che stava sempre con sua figlia, tant'è che mia figlia veniva anche in bagno con me". In un altro passaggio contenuto nella relazione depositata nel processo la 38enne ha ripercorso i processi mentali avuti quando ha abbandonato la bambina: "Succede che anzichè tornare a casa l'indomani i giorni si prolungano. Perchè la mia mente si era come spenta verso la bambina, era come se avesse dimenticato il ruolo di essere mamma".