AGI - Due naufragi a distanza di nove secoli e di 1200 chilometri: quello del 1170 del ricco mercante Alberto Besozzi di Arolo nelle acque del lago Maggiore e quello del peschereccio affondato al largo di Lampedusa nel 2013 con a bordo 500 migranti eritrei che causò almeno 368 morti. Ora questi due episodi si ricompongono con la mostra "La memoria degli oggetti" che dal 28 febbraio al primo aprile 2024 sarà ospitata nel magnifico eremo di Santa Caterina del Sasso, a Leggiuno, abbarbicato sulla sponda varesina del lago Maggiore. Il santuario fu fatto costruire proprio su iniziativa di Besozzi, esaudendo un voto alla Santa di Alessandria d'Egitto dopo essere scampato alla tempesta.
Nel 1195 i concittadini del mercante, per ringraziarlo di aver posto fine a un'epidemia di peste con le sue preghiere, ne esaudirono il desiderio di edificare, su una parete rocciosa a strapiombo sul lago, un sacello simile a quello che sul Monte Sinai custodiva le spoglie di Santa Caterina. Oggi il santuario, sviluppatosi in tre conventi poi unificati nel corso del 1500, ospita solo quattro monaci ma attrae ogni giorno centinaia di pellegrini e turisti.
Nella sua vocazione di luogo di spiritualità e meditazione, l'eremo accoglierà la mostra dell'associazione Carta di Roma con gli oggetti appartenuti alle vittime del naufragio del 3 ottobre 2013, le fotografie di Karim El Maktafi e i video del giornalista Rai Valerio Cataldi, già ospitata al 'Binario 21', a Milano. Gli oggetti dei migranti furono repertati dalla polizia come corpi di reato, prove che hanno consentito di identificare le persone decedute anche grazie alle rilevazioni del Dna per dare loro un nome e restituire dignità anche ai loro familiari.
Al complesso di Santa Caterina, molto amato dagli abitanti della zona (Leggiuno tra l'altro è il paese di Gigi Riva), è legato anche un evento che fu visto come miracoloso: nel '700 cinque grossi massi si staccarono dalla parete del Sasso Bàllaro e sfondarono il tetto della cappellina dove da due secoli riposava il corpo di Alberto Besozzi ma rimasero incastrati senza toccare terra e senza intaccare in alcun modo i resti del Beato. Solo nel 1910 i massi caddero al suolo ma senza causare danni e furono poi rimossi con i restauri di fine secolo. L'eremo oggi è casa della Fraternità Francescana di Betania. Attualmente ricade sotto la Provincia di Varese che ne ha curato i lavori di restauro e di messa in sicurezza, compreso un ascensore nella roccia per facilitare l'accessibilità. Concessionaria per la gestione è Archeologistics, una società tutta al femminile di archeologhe, antropologhe e storiche dell’arte.