AGI - Un anno di osservazione dal "buco della serratura" restituisce l'immagine del Centro di Permanenza per il Rimpatrio di Milano di via Corelli come un "mostro invisibile alla cittadinanza e alle istituzioni dove vengono violati di continuo i diritti alla salute, alla difesa e alla dignità".
L'associazione Naga, che dal 1987 fornisce assistenza sanitaria, legale e sociale ai cittadini stranieri, ha provato a fare breccia "nele mura impenetrabili" della struttura, gestita da privati che hanno vinto un bando, attraverso accessi civici, cartelle cliniche, testimonianze di persone all'interno, notizie riferite da avvocati, interpreti e ricorsi al Tar, uno dei quali è servito per avere fisicamente accesso a uno dei luoghi più 'off limits' della città.
Uno dei pochi in Italia dove i trattenuti possono utilizzare il cellulare proprio in seguito a un ricorso del Naga accolto da un giudice di pace negli anni scorsi. "Grazie a questo, alcune persone ci hanno mandato video, come quello in cui li si vede mangiare cibo coi vermi, e testimonianze, contattandoci sulla nostra pagina Facebook" spiega Teresa Florio dello sportello legale.
Ne è scaturito il dossier di 220 pagine 'Al di là di quella porta' ricco di documenti inediti che affronta diversi ambiti a cominciare dal primo passo che compie il cittadino straniero, la visita di idoneità, "fondamentale perché nel Cpr possono entrare solo i 'sani'". "Sono visite brevissime - dice Nadia Bovino, l'altra relatrice del dossier presente alla conferenza stamppa -. Ci si limita a chiedere alle persone se stanno bene. Poi vengono spogliate e costrette a fare flessioni per espellere eventuali oggetti dall'ano. Alla persone viene poi assegnato un numero progressivo col quale il trattenuto verrà chiamato, 'perdendo il nome'".
Dalla relazione emerge che, durante la permanenza, gli ospiti "vivono in miseri moduli abitativi dietro le sbarre, pur non avendo commesso reati, con bagni e docce senza porte, acqua spesso solo gelida o bollente, sporcizia e degrado. I piccioni pasteggiano sul pavimento, i pasti sono impresentabili e farciti di vermi. Quando qualcosa non va l'unica possibilità che hanno di comunicare è battere sul portone".
Molto spazio viene dato al tema della salute, fondamentale anche perché "chi non sta bene deve essere liberato ma le cartelle cliniche non vengono date agli ospiti e per avere alcuni di questi documenti abbiamo dovuto vincere due ricorsi al Tar". Viene raccontato il caso di J.M. "trattenuto nel Cpr anche dopo che gli era stato diagnosticato un tumore al cervello". Il suo rilascio, raccontano gli attivisti del Naga, "è avvenuto solo dopo che il suo avvocato aveva chiesto la cartella clinica e l'intervento del Garante nazionale dei detenuti".
C'è poi il caso di B.M. "sedato col valium perché minacciava atti autolesivi; ha ricevuto psicofarmaci per mesi ed è stato liberato solo dopo essersi fratturato delle costole da solo, tutte circostanze nascoste all'avvocata e ai giudici". Il dossier comprende anche un video in cui si vede H.D. "bloccato da una decina di agenti intenti a strappargli il filo di ferro dalla bocca, che si era cucito in sciopero della fame, per procedere al rimpatrio". Segnalati anche, con documenti allegati, quattro casi "di persone trattenute alle quali i familiari avevano inviato soldi che non sono stati restituiti dopo che avevano lasciato il Cpr" e che hanno richiesto l'intervento del Garante. Un accesso civico al Dipartimento di Pubblica Sicurezza ha permesso di ottenere una tabella da cui risultano 14 decessi nei Cpr italiani tra il 2028 e il 2022. L'età media è 33 anni, di 4 di loro non si sa nulla, né l'identità né le cause del decesso.